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La globalizzazione delle produzioni e dei mercati è fonte di complessità e quasi per paradosso, nasce una forte esigenza di semplificazione. Quali sono i punti cardine della semplificazione nel packaging? È possibile semplificare salvaguardando creatività e identità di marca?
Zemira Nociti

Un diffuso sentimento minimalista, accompagnato dalla ricerca della più profonda essenza delle cose, come espressione dei veri valori della vita, ha contraddistinto gli anni appena trascorsi, influenzando moda, pensiero, consumi, stili di vita. Nello stesso tempo, la sempre più spinta globalizzazione ha portato le nostre aziende ad abbandonare il radicamento alle zone d’origine proiettandole su scenari internazionali.
Da qui,un nuovo desiderio di semplicità o almeno di riduzione della complessità, per poter rispondere al meglio alle mutate esigenze.
La semplicità, in senso lato, è una qualità molto apprezzata: facilita la comprensione delle cose ed agevola l’esecuzione di qualsiasi compito. Inoltre, è sia caratteristica oggettiva di un’entità, sia concetto di relazione; è rilevante solo se rapportata a una maggiore complessità.
La semplificazione è un intervento sulla struttura di un oggetto, di un processo, o di un concetto che li rende meno complessi di quanto fossero in precedenza.

Più è meno, negli imballaggi...
Può il mantra “less is more” essere applicato con successo a un’attività di packaging? Si, attraverso la semplificazione degli imballaggi, dei processi di confezionamento, della comunicazione. È intuitivo concepire la semplicità di una cosa valutandola in base al numero, e alle caratteristiche delle parti che la compongono.
Un imballaggio è tanto più semplice quanto minore è il numero dei suoi componenti, ma la semplificazione è valida solo a condizione che l’imballo mantenga immutata la sua precedente funzionalità.
Fino a qualche anno fa buona parte delle iniziative di semplificazione del packaging prendevano le mosse da progetti di riduzione dei costi, e si concretavano in ritocchi delle specifiche tecniche dei materiali.
Il saving, tanto più interessante quanto più il precedente pack sovradimensionato, era realizzato anche grazie alla relativa costanza delle modalità distributive o, in qualche caso era sensibilmente favorito dalle innovazioni logistiche.
Tantissime aziende hanno beneficiato della drastica riduzione della resistenza alla compressione dei cartoni, quando buona parte dei magazzini interni e dei CE.DI. hanno adottato le scaffalature monopallet, risolvendo l’annosa questione dell’accatastamento di due o più bancali uno sull’altro.
Oggi la situazione ha subito una profonda evoluzione e la semplificazione degli imballi non può dimenticarlo. Ai vincoli tradizionali si sono aggiunte rinnovate esigenze logistiche, distributive nonché importanti risvolti ambientali. In questo caso, le linee guida della semplificazione diventano quindi la predilizione per imballi espositori direttamente scaffalabili, easy- open e facilmente ripiegabili. In un colpo solo, si sono ottenute molteplici garanzie: drastica riduzione dei tempi d’allestimento degli spazi di vendita e dei rischi di danneggiamento dei prodotti all’apertura dell’imballo secondario, maggiore sicurezza per gli addetti con l’eliminazione di strumenti potenzialmente pericolosi quali forbici o taglierini, contenimento dei tempi di ritiro e integrazione degli imballaggi vuoti.
I temi ambientali suggeriscono l’uso di monomateriali, completamente riciclabili, la messa al bando di ogni overpackaging, il ritorno a contenitori a rendere o almeno riutilizzabili.

... e nei processi
Più impegnativa è la semplificazione di un processo. Il confezionamento non è altro che un susseguirsi d’attività, fra loro coordinate, aventi per fine ultimo la commercializzazione di un prodotto perfettamente imballato, e rispondente appieno alle attese di un potenziale acquirente.
La complessità di un qualsiasi processo è valutata in relazione al maggior o minor numero d’operazioni necessarie al raggiungimento dell’ obiettivo stabilito. Semplificare il processo di confezionamento equivale a ridurne al minimo le fasi, mantenendo costanti le caratteristiche del prodotto finale.
Risvolto non trascurabile di un processo di confezionamento è il suo costo.
La sostituzione di un’attività onerosa con una più economica è un valido contributo alla semplificazione.
Il primo impulso è “standardizzazione”, sogno irrealizzabile di ogni planner centrale: pochi formati, magari modulari, ottenibili anche con linee produttive non proprio all’avanguardia per ovviare alle differenze impiantistiche di stabilimenti non sempre tecnologicamente omogenei, ed estremizzando, unica grafica e unico messaggio pubblicitario.
Qualche piccola deroga: preservare intatta la size, e introdurre leggere varianti di shape per differenziare i diversi marchi. Le indubbie economie di scala e la riduzione drastica dei tempi di fermo impianti, indispensabili all’esecuzione dei cambi formato, renderebbero un manager poco accorto certo di aver trovato la soluzione perfetta.

Ma forse non tutti sanno che...
Peccato che il mercato globale sia sempre più esigente in tema di diversificazione e flessibilità.
Un ottimo punto di partenza, per lo sviluppo di un progetto di semplificazione, potrebbe invece essere un mirato confronto tra aspettative dei potenziali clienti e tratti caratteristici della gamma di prodotti offerta dall’ azienda. Si può esaminare, ad esempio, il fatturato generato dalle singole referenze.
Normalmente, l’80% degli introiti aziendali è garantito da non più del 30% dei prodotti a listino. È lecito domandarsi quale sia l’effettivo valore del rimanente 70%.
Le risorse investite e gli sforzi profusi per lo sviluppo e la commercializzazione di questi articoli hanno corrisposto alle attese o sarebbero stati meglio allocati nell’incremento e miglioramento del primo 30%? La risposta è inscindibile dalle politiche aziendali, e ciò che è percepito dall’acquirente come maggior valore fa la differenza.
Individuare e valutare questo maggior valore è altrettanto soggettivo, anche se oggi disponiamo di eccellenti strumenti manageriali, per una corretta e omnicomprensiva identificazione dei bisogni chiave dei consumatori. È poi basilare riuscire a definire alcuni criteri oggettivi, con cui confrontare le varie referenze.
Preziosissimo a questo scopo è il patrimonio di dati - a volte sottovalutato - che ogni azienda ha già a disposizione: il fondamento delle quotidiane attività delle sue diverse funzioni.
Un altro possibile approccio è il diretto coinvolgimento di alcuni, ben selezionati, gruppi d’abituali clienti. È stata la carta vincente di un’importante azienda farmaceutica che, di recente, ha modificato il
confezionamento del proprio prodotto principale, grazie ai suggerimenti di un gruppo di farmacisti ospedalieri.
Il risultato è stato sorprendente: ottimizzazione delle linee, non più over - packaging e riconoscimenti ambientali.

Parlare chiaro? Decisivo!
Ricca di spunti è la semplificazione della comunicazione, che altro non è che la “rappresentazione interpersonale” di una cosa, di un fatto o di un’idea, e dovrebbe essere sempre chiara e completa.
Tuttavia, persino i termini più comuni possono avere un significato non univoco, o risentire delle interpretazioni personali. Il rischio è che le parole e le immagini utilizzate possano apparire improprie o ambigue, inducendo in errore il destinatario del messaggio.
Anche la semplificazione della comunicazione si svolge su due livelli: la riduzione del numero di termini utilizzati (che include anche l’uso di parole facilmente comprensibili o meglio la loro sostituzione con pittogrammi e immagini inequivocabili), e una riduzione più sostanziale: dare solo le informazioni strettamente necessarie.

Dedicato all’imballaggio primario
La comunicazione oggi veicolata attraverso gli imballaggi primari è - a parere di chi scrive - di difficile semplificazione.
Elemento base di comunicazione di un imballaggio primario è l’imballaggio stesso.
Le referenze sugli scaffali sono migliaia, e attrarre l’attenzione di un potenziale acquirente è il primo successo di una buona comunicazione.
Una confezione originale, curata nei dettagli strutturali e grafici, con un elevato contenuto di servizio è sicuramente più accattivate di una confezione che si limita a contenere un prodotto.
Altro rilevante elemento di comunicazione dell’imballaggio primario è il marchio, o meglio il “supermarchio”, quello che promette più vantaggi tangibili ed emotivi rispetto alla concorrenza, e che induce quindi al riacquisto. Terzo elemento vincolante, è l’aspetto legale, complesso perché legato ai singoli ambiti nazionali, talvolta contraddittori tra loro.

Dedicato all’imballaggio secondario
Tanto è invece possibile fare sugli imballaggi secondari, agendo sulle cosiddette “comunicazioni di servizio”. Le opportunità sono svariate e da valutare in funzione del tipo di prodotto, dei volumi di vendita, della sua rotazione a scaffale, dei mercati di destinazione.
Scartando a priori, per palesi motivi, l’ipotesi di singoli imballi dedicati, la sfida diventa quella di una corretta e efficace personalizzazione d’imballi standard ad alta versatilità.
Le tecnologie applicative sono molteplici. Qualsiasi sia la scelta, il lay-out delle diciture va studiato con cura e standardizzato all massimo, per creare un linguaggio unico, inconfondibile, sempre facilmente interpretabile, ovunque e da chiunque.
Un suggerimento potrebbe essere quello di creare una prima area dedicata al nome del prodotto e al marchio aziendale; una seconda potrebbe riportare la sommaria descrizione del prodotto e, nel caso in cui si opti per una soluzione multilingue, la sequenza delle lingue utilizzate dovrebbe essere sempre la stessa. Una terza zona potrebbe contenere l’indicazione del formato e del numero di pezzi contenuti, una quarta i codici e gli altri riferimenti numerici, una quinta le caratterizzazioni ambientali. La sesta, infine, potrebbe essere dedicata a istruzioni particolari, modalità di handling, di conservazione e quant’altro.
In questo modo si renderebbero sempre e immediatamente disponibili a chi legge le informazioni d’interesse, permettendo a chiunque intenda acquistare o debba movimentare un prodotto aziendale, di comprendere, se non tutto, almeno i tratti salienti della “comunicazione di servizio”, indipendentemente dal formato, dal contenuto, dallo stabilimento di produzione, dal Paese di destinazione e dalle lingue riportate.
Il segreto? Sapersi calare fisicamente nei panni del destinatario del messaggio, garantendogli ogni volta un valore aggiunto molto concreto.
Conclusione: la semplificazione del packaging non è semplice ma è possibile.

Zemira Nociti
Tecnologa del packaging

Simplicity
Production and market globalisation is a source of complexity, and, almost paradoxically, has led to the surfacing of a distinct need for simplification. What are the cardinal points of simplification in packaging? Is it possible to simplify while also safeguarding creativity and brand identity?

The defining mood of the times we live in, as we have seen in the most recent years, is that of a common-felt minimalism, together with the search for the true essence of things, as an expression of the real values of life. This is the theme that forms present-day fashion, thought, consumption trends and lifestyles. Meanwhile, the increasingly greater thrust of globalisation has led our companies to neglect their roots in the area of origin and sees them projecting such company aspects onto international stages. This has led to a new desire for simplicity or at least a decrease in complexity, which leaves one more flexible to respond better to the altered needs. Broadly speaking, simplicity is a highly-appreciated quality: it facilitates comprehension of things and makes any task easier to carry out. Furthermore, it is both an objective characteristic of an entity and a relational concept; it is relevant only when related to a greater complexity. Simplification involves an intervention on the structure of an object, a process, or a concept that renders these less complex than their previous state.

In packaging, more is less...
Is it possible to successfully apply the mantra “less is more” to a packaging activity? Yes, by simplifying packaging, wrapping procedures and communication. Basic intuition would tell us to assess the simplicity of a thing by judging the number and the nature of the parts of which it is composed. The smaller the number of components of a package, the simpler it becomes, yet simplification is only valid if the package retains its former functional features.
Until a few years ago, a large percentage of packaging simplification initiatives were really an outcome of cost reduction programmes, and as such, focused on revising the technical specifications of the materials. The resulting savings, which were in inverse proportion to how oversized the previous pack had been, was also attributable to the constancy of the distribution system or, in a few cases, had been considerably aided by logistic innovations.
Many companies benefited from the drastic reduction in resistance to box compression, when a large number of internal warehouses and CE.DI.s adopted monopallet shelving, and eliminated the age-old problem of stacking two or more pallets on top of each other. There have been large developments in this area, with far-reaching effects on package simplification. In addition to the traditional constraints, we now have new logistic and distribution demands as well as important environmental implications. And so, the guidelines for simplification imply a preference for display packages that can be shelved directly, are easy to open and simple to fold. A single move has secured a number of different guarantees: drastic reduction in time spent preparing sales spaces and in the risks of damaging the product during the opening of the secondary packaging; greater work environment safety for employees, since potentially harmful tools such as scissors and cutters are no longer required; and a cut-down in the empty packaging collection and integration.
Environmental issues suggest the use of not more than one material that is 100% recyclable, banishment of every over-packaging feature, and a resumption of returnable, or at least reusable, containers.

... and in processes
Simplification of a process is a more demanding matter.
Wrapping/packaging is none other than a succession of coordinated activities, whose end objective is to lead to the marketing of a perfectly packaged product that also fully responds to the expectations of a potential buyer.
The complexity of any process is calculated in relation to the greater or lesser number of operations necessary to reach the set objective.
Simplifying the wrapping process implies reducing the number of phases involved to a minimum, while also maintaining the end product features constant.
The cost of a packaging process is an implication that cannot be ignored. Replacing a costly activity with a cheaper alternative is a valid contribution to simplification.
The first impulse is “standardization”, the unrealisable dream of every central planner: a small number of formats, that could even be modular, and which can also be obtained with production lines that are not exactly state-of-the-art to solve the problem of system differences of plants that are not always technologically homogenous, and an extreme case, a single graphic design and advertising message.
A few small deviations would include: maintaining the same size, and introducing slight variations in shape so as to differentiate the different brands. The certain economies of scale and the drastic cut-down in down times, essential for format changes, would make even the weakest of managers certain of having found the perfect solution.

But maybe not everyone knows that...
It is a shame that the global market continues to demand more diversification and flexibility. An excellent starting point for developing a simplification project could be a targeted comparison between potential customers’ expectations and the characteristic features of the company’s product range. Turnover generated by individual products could be one such example. Usually, 80% of company revenue is supplied by not more than 30% of the products offered by the entire range. It is legitimate to ask how much the remaining 70% is actually worth. Have the resources invested and the effort dedicated to the development and marketing of these items responded to set objectives, or would these resources be better exploited by investing them in increasing and improving the first 30% of products? The reply to this question is bound in with the company strategies, and that which is perceived as greater value by the buyer makes the difference. Identifying and assessing this greater value is equally subjective, even if modern business studies have provided us with a range of excellent managerial instruments for conducting a correct and comprehensive identification of consumers’ key requirements. It is then fundamental that some objective criteria can be defined, so as to compare the various references. An invaluable tool for this objective is the store of data – often underestimated – owned by every company: the foundation of everyday activities of the company’s different functions. Another possible approach is the direct involvement of a well-selected, group of regular customers. This move proved to be a winning ticket for an important pharmaceutical company, which recently altered the wrapping of its star product in accordance with suggestions from a group of hospital pharmacists. The change yielded surprising results: line optimisation, elimination of over-packaging and environmental acknowledgements.

Speaking clearly? It’s decisive!
Communication is none other than “interpersonal representation” of a thing, fact or idea, and as such, should always be clear and comprehensive, while there are a host of opportunities to simplify communication.
Nevertheless, even the most commonplace of words can have a variety of meanings, or can alter according to personal interpretations. The risk involved here is that the words or images used may appear unsuitable or ambiguous, leading to the target consumer misinterpreting the message.
Simplification of communication also takes place on two levels: reducing the number of terms used (which also includes the use of words that are easily understood or, better still, replacing these with pictograms or unequivocal images), and a more substantial reduction: only giving information which is absolutely necessary.

Dedicated to primary packaging
This writer is of the opinion that communication carried on primary packaging is difficult to simplify. The packaging itself is a basic element in primary packaging communication.
There are thousands of references on the shelves, and attracting the potential customer’s attention is the first step to success in good communication. There is no doubting the fact that an original package, with high quality structure and graphic design, with a high service content is more attractive than a package that merely contains the product. Another relevant element of primary packaging is the product brand, or better still the “superbrand”, i.e. the brand that promises more psychological and tangible advantages than the competitor’s brand, and, hence, the one that fosters repeat purchase.
The third constraining feature is the legal aspect, which is a complicated area owing to the different national governing regulations, which, in reality, often contradict each other.

Dedicated to secondary packaging
Unlike primary packaging, a lot can be done with secondary packaging, by acting on the so-called “service communication”. There is a large range of possibilities, and these should be assessed according to the product type, sales volumes, shelf life and target markets. Without even considering the concept of individually-designed packages, the challenge lies in properly and effectively personalising highly-versatile standard packages. There is a wide variety of application technologies. Whatever the choice be, the caption settings should be studied carefully and standardised as much as possible, so as to create a single language that can be clearly identified and is always simple to interpret, for anyone, anywhere. One idea is to create a first area for the product name and company brand. A second area could be used to display the short product description, and if a multilingual solution is to be adopted, the same order in languages used should be maintained always. A third area could contain the format indications and the number of units contained, while the code and other numerical references could be printed in the fourth area, with the fifth area providing environmental characteristics. Finally, the sixth area could be utilised for specific instructions, details for handling and preserving etc. This scheme would make at minimum the salient points, if not all, of the “service information” always immediately available to those who read the relevant information, and anyone who has to handle or purchase a company product. Such information would be communicated independently of the format, content, production plant, national target market and languages used. So, what’s the secret? The answer lies in having the ability to physically assume the role of the person at whom the message is aimed, while also guaranteeing this person a concrete added value. Conclusion: packaging simplification is not simple, but it is possible.

Zemira Nociti
Packaging technologist