November/December 2004




Uomo, merce, emozioni
People, products, emotions

Vita difficile per i “soliti ignoti”?
A taugh time for retail thieves?

Beverage all’italiana
Italian beverage

Il nuovo senso del mondo
The new sense of the world

Chiudere in bellezza
Closing on a positive note

M&D News







Imballaggi poliaccoppiati flessibili
Flexible polylaminate packaging

Rapporto sullo stato dell’imballaggio (3)
Report on the state of packaging (3)

F&F News






Crescita e sviluppo industriale senza confini
Industrial growth and development without borders

Un buon bilancio di numeri e idee
A good balance in numbers and ideas

I&D News







Preparati pericolosi
Dangerous substances

Nuovo Regolamento (CE) sui detergenti
New (EU) rules for detergents

Sostanze allergeniche nei prodotti alimentari
Allergens in food products

E&L News







Il coraggio di guardare avanti…
The courage to look ahead…

Packaging Links
Packaging Links

M&M News









Gifasp ha creato un’importante occasione di confronto critico e di apertura su temi destinati a condizionare sempre più pesantemente la continuità di sviluppo delle imprese (e dunque, anche dell’intero settore cartotecnico). Fra i molti interventi che hanno animato le giornate a Sirolo, ne riproponiamo uno, che ha offerto motivi di riflessione di ampio respiro. Federico Visconti

Stiamo vivendo un momento storico durante il quale alcune domande vengono poste, con insistenza e non senza una vena di allarmismo, all’attenzione dell’opinione pubblica: quali scenari strutturali si delineano per l’economia italiana? La concorrenza asiatica e di altri Paesi a basso costo del lavoro continuerà a sottrarci aree di attività e spazi di mercato? Il Paese è destinato alla de-industrializzazione? Quali settori di attività potranno assicurare continuità di sviluppo economico e prosperità alle nuove generazioni?
Si tratta di interrogativi di non poco conto, che coinvolgono fenomeni economici ma anche socio-culturali, che rifiutano risposte superficiali e pre-confezionate.
All’interno di questo dibattito, un’ipotesi forte deve tuttavia essere giocata: non possiamo permetterci il lusso di trascurare, di svilire, di perdere ciò che sappiamo fare e fare bene, cioè una vasta gamma di prodotti, all’interno di settori come il tessile-abbigliamento, il sistema-arredo, il calzaturiero, l’occhialeria, la meccanica di precisione, l’oreficeria e via dicendo.
Come alcuni autorevoli economisti hanno osservato, occorre ripartire da ciò che sappiamo fare, occorre rilanciare il modello che ci ha assicurato decenni di sviluppo economico. Detto in altri termini, un “altro modello” a oggi non esiste e, forse, non si configura nemmeno all’orizzonte.

Il valore della piccola impresa
La via italiana allo sviluppo, attentamente osservata anche all’estero, si impernia sulle piccole e medie imprese, spesso aggregate in forma di distretti industriali e sostenute da valori forti di imprenditorialità, di propensione al rischio, di apertura al cambiamento, di etica del lavoro. Uno strano mix di fattori geografici, sociali, culturali e poi anche economici ha generato e progressivamente consolidato quel modello di piccola impresa che rappresenta una chiave di lettura fondamentale dello sviluppo economico del nostro Paese. Non a caso, in uno studio recente (Simon, 2001) si documenta l’esistenza di una moltitudine di “campioni nascosti”, imprese di piccole e medie dimensioni che occupano posizioni di leader a livello europeo, quando non mondiale; che sono il più delle volte sconosciute al grande pubblico; che realizzano prodotti “invisibili” e/o di “basso profilo”; che sono costrette dalla limitatezza del mercato interno ad avere una forte proiezione internazionale; che hanno saputo manifestare straordinarie capacità di sopravvivenza, anche grazie alle motivazioni e alle energie delle strutture proprietarie tipicamente familiari.

Le sfide del mercato
Non si può peraltro negare che la piccola e media impresa sia, da qualche anno a questa parte, sempre più sotto pressione. Le sfide si moltiplicano e hanno natura strutturale: la globalizzazione dei mercati tende ad ampliare la dimensione dei segmenti di riferimento, richiamando logiche di volumi ed economie di scala; i concorrenti emergenti beneficiano di vantaggi di costo e realizzano continui miglioramenti della qualità dei prodotti e degli standard di servizio; l’evoluzione dei sistemi distributivi trasferisce sempre maggior potere contrattuale agli attori a valle della filiera e riduce i margini economici delle PMI impegnate in attività di trasformazione; la diffusione di Internet e di altre information technologies modifica le relazioni interaziendali, velocizza i flussi informativi, ridimensiona l’importanza del fattore “territorio”.
In questo panorama di intensa evoluzione, una preoccupazione di fondo è ricorrente: “abbiamo imprese troppo piccole per competere nei nuovi scenari economici”. In altre parole: occorre crescere (Onida, 2004).

Una risposta: crescere
Al di là degli slogan, le principali motivazioni che spingono le piccole e medie imprese ad aumentare le proprie dimensioni sono le seguenti (Alberti, Cortesi, Salvato, 2004):
• Il miglioramento della produttività, intesa come il rapporto tra il valore del prodotto, così come è percepito dal cliente, e il costo dei fattori produttivi utilizzati per realizzarlo. Nel primo caso, crescendo si rafforza l’immagine aziendale, ci si rende più visibili rispetto ai concorrenti, si possono liberare risorse per aumentare il contenuto di servizio ai clienti ecc. Nel secondo caso, l’incremento dei volumi produttivi comporta economie di scala, di esperienza e di scopo che si traducono in una riduzione dei costi unitari e dunque in una maggiore competitività sul piano dei costi.
• L’ampliamento geografico dei mercati e/o il comportamento aggressivo dei concorrenti. Posizioni di successoper lunghi anni, rischiano di entrare in crisi quando la piccola impresa non mette a fuoco la dinamica di sviluppo dei mercati (in particolare, a livello di ambito geografico) e soprattutto le strategie ad ampio spettro dei concorrenti più significativi. In questi casi, crescere è condizione di sopravvivenza.
• La crescita dimensionale dei clienti e/o dei fornitori. Da qualche anno a questa parte, lungo le filiere popolate dalla piccole imprese si è assistito ad una polarizzazione del potere contrattuale attorno ad alcuni attori chiave, spesso collocati nelle fasi a valle. In tale contesto concorrenziale, l’aumento delle dimensioni può costituire una strada per ridimensionare l’impatto economico dei rapporti con i clienti e con i fornitori di riferimento.
• Il progresso tecnologico. Nei settori a forte contenuto di innovazione (di prodotto e di processo), la piccola dimensione manifesta una serie di limiti strutturali. In questi casi, la crescita consente di raggiungere quella massa critica necessaria per sviluppare e introdurre le nuove tecnologie e, di riflesso, per partecipare con un ruolo attivo al confronto competitivo.
• La mobilitazione e l’accumulo di risorse. Lo sviluppo di competenze distintive e di know how esclusivo rappresenta una condizione fondamentale per il successo.
La crescita dimensionale costituisce, in tal senso, un motore fondamentale, un driver di primaria importanza, come documentato dalla possibilità di coinvolgere risorse umane di valore, di attrarre capitali nella composizione quali-quantitativa desiderata, di negoziare con le istituzioni locali le condizioni produttive e infrastrutturali necessarie e via dicendo.

Le strade dello sviluppo
In termini sintetici, forzando la dimensione economica del problema, le strategie di crescita possono essere ricondotte a tre finalità rilevanti: aumentare le dimensioni aziendali nell’ambito dell’attività esistente, ricercando in tal modo effetti di scala e di esperienza; intraprendere attività che si collocano a monte o a valle rispetto a quelle storicamente realizzate, perseguendo così economie di transazione; sviluppare attività che hanno per oggetto la produzione e la commercializzazione di nuovi prodotti, all’interno di quelle che si definiscono economie di scopo o di raggio d’azione.
Chiarite, quantomeno a livello generale, le principali motivazioni all’origine di percorsi di crescita dimensionale, è opportuno spendere alcune considerazioni in merito alle modalità di crescita. Le alternative praticabili sono molte. Pur tuttavia, esse possono essere ricondotte a due grandi famiglie: la crescita cosiddetta interna e quella invece di tipo esterno. Nel primo caso, le piccole imprese tendono ad ampliare il proprio nucleo di attività facendo ricorso a investimenti diretti e valorizzando le risorse e le competenze endogene, sviluppate nel corso degli anni.
Nel secondo caso, l’azienda combina le proprie risorse, le proprie capacità, i propri punti di forza con quelli di altre imprese, attraverso accordi di collaborazione, alleanze, fusioni o acquisizioni. Per molteplici ragioni (variamente connesse ai tempi di realizzazione, alle risorse da investire, al grado di flessibilità strategica) la via alla crescita più diffusa tra le PMI è proprio la seconda, che trova nella formazione di gruppi la modalità elettiva.
Il gruppo consente infatti di conseguire effetti sinergici tipici delle imprese più grandi (ad esempio nei processi di acquisto, nella attività di ricerca e sviluppo, nella gestione delle risorse finanziarie) senza sacrificare la flessibilità e l’imprenditorialità tipiche delle minori dimensioni.

Capitale umano
e organizzazione

L’analisi dei percorsi di crescita attuati da numerose imprese che hanno saputo conquistare posizioni di rilievo nei rispettivi mercati di riferimento induce a sollevare alcune criticità o, se si vuole, condizioni per il successo. Una prima condizione fa riferimento alla capacità di “visioning” e alla concezione della crescita dimensionale: gli imprenditori aperti alle sfide della crescita non definiscono “a priori” le soglie entro le quali l’impresa è gestibile e oltre le quali la continuità aziendale verrebbe messa in crisi dalla accresciuta complessità gestionale. Una seconda condizione riguarda l’evoluzione manageriale: un passaggio critico all’accrescersi delle dimensioni aziendali è rappresentato dalla sostanziale evoluzione del ruolo imprenditoriale: da “uomo in prima linea” a gestore di risorse, pianificatore e controller. Detto in altri termini: occorre cooptare risorse manageriali valide e delegare. Una terza condizione, connessa alla precedente, pone l’attenzione sugli strumenti a supporto delle decisioni; l’esperienza e le capacità intuitive non bastano più e diventa necessario introdurre modelli e strumenti per l’analisi della redditività delle diverse linee di prodotto, per la gestione delle reti distributive, per la programmazione ed il controllo dei flussi finanziari e via dicendo. Infine, la dimensione finanziaria del problema. Le imprese in crescita vedono lievitare il proprio fabbisogno di risorse derivante dagli investimenti in capitale circolante o in capitale fisso, oppure da operazioni straordinarie funzionali al progetto di crescita. Anche in questo caso, è necessario dotarsi di un modello gestionale che può essere completamente diverso da quello sperimentato quando l’azienda si è mantenuta attorno a dimensioni sostanzialmente stabili.

Strategie per vincere
Il panorama delle piccole e medie imprese italiane è tutt’altro che stagnante, apatico, passivo. Sotto pressione, le aziende rispondono, al punto che i caratteri costitutivi del modello, della “via italiana” allo sviluppo industriale, si stanno progressivamente modificando: il processo di concentrazione in atto in molti settori fa emergere la componente più robusta del sistema, cioè le imprese leader; i confini geografici di iniziativa strategica vanno ben oltre il mercato locale (nel caso dei fenomeni distrettuali, si teorizza ormai l’esistenza di “un distretto in Italia” - dove concentrare le attività a maggior valore aggiunto - e “un distretto all’estero” - dove ricercare i vantaggi di costo derivanti dalla nuova divisione internazionale del lavoro); il network di servizi a supporto delle imprese assume nuovi orizzonti, diventa internazionale, progetta piani di cooperazione, supporta scambi di risorse e di competenze tra imprese di Paesi diversi. Rimane un dubbio: che ne è, o comunque che ne sarà, di quella cultura, di quella operosità, di quel patrimonio di idee e di motivazioni, di quello spirito imprenditoriale che hanno alimentato così validamente il fenomeno della piccola impresa?
La risposta è difficile, qualche nube è all’orizzonte, ma non si può che confidare nell’energia e nella tensione che la classe imprenditoriale ha sempre saputo manifestare, soprattutto nei momenti più difficili.

Fare sistema
Quel che è certo, è che gli imprenditori non devono essere lasciati soli. Vi sono spazi di iniziativa “al fianco” delle imprese che devono essere rapidamente messi a fuoco per poi, ancor più tempestivamente, realizzare soluzioni efficaci. Basti pensare allo sviluppo di nuova conoscenza e alla innovazione di processo/prodotto: per molte PMI, sempre meno autosufficienti, diventa strategico acquisire know how scientifico e codificato attraverso la collaborazione con Università e Centri di eccellenza.
Oppure alla necessità di recuperare competitività sul piano dei costi: è opportuno sperimentare, di concerto con le rappresentanze sindacali, formule contrattuali che flessibilizzino i rapporti e riducano l’incidenza del costo del lavoro, salvaguardando il contributo professionale offerto. O ancora al fabbisogno di risorse finanziarie derivante da piani di sviluppo sui mercati internazionali, da operazioni di acquisizione, dal lancio di nuovi prodotti: ben vengano nuovi modelli di collaborazione tra imprese e sistema bancario, flessibili e tarati sulle esigenze delle piccole e medie imprese. L’elenco degli ambiti di iniziativa potrebbe continuare, così come quello degli attori, pubblici e privati, direttamente coinvolti. Un punto è da ritenersi fermo: la continuità di sviluppo del modello della piccola impresa passa sì attraverso le scelte e i comportamenti degli imprenditori, ma anche mediante l’azione sinergica, tempestiva ed efficace dei tanti attori che con essi interagiscono. Proprio in queste settimane, giungono ai diversi attori economici ricorrenti esortazioni a fare squadra, a fare sistema. Non si dimentichi che le PMI, pur con forme e finalità differenti, hanno storicamente dimostrato di esserlo.
Il problema non è quello di avviare cambiamenti radicali, quanto di consolidare e di sviluppare quel patrimonio di idee, di valori, di competenze, di relazioni che tanto ha contribuito alla crescita economica del nostro Paese.

Il ruolo di Gifasp
La recente evoluzione del settore cartotecnico riflette non pochi degli aspetti problematici esposti: la pressione concorrenziale interna al settore è crescente, gli attori esterni al settore si presentano il più delle volte in posizioni di forza contrattuale, l’ambito geografico si va ampliando ed emergono importanti segnali di internazionalizzazione dei mercati, non solo di sbocco. Anche in questo caso, le imprese reagiscono alle sfide e di anno in anno si registrano importanti “movimenti competitivi”, con fenomeni di acquisizione, dinamiche di concentrazione, processi di selezione delle imprese. Adempiendo ancora una volta al prezioso compito di “facilitatore” di processo o, detto in altri termini, assumendosi un tipico ruolo di “metamanager”, il Gifasp ha creato un’importante occasione di riflessione, di confronto critico e di apertura su temi destinati a condizionare sempre più pesantemente la continuità di sviluppo delle imprese e dunque dell’intero settore.

Federico Visconti
Impresa Sviluppo Srl, Milano



Industrial growth and development without borders
Gifasp has created an important occasion for a critical debate opening out onto subjects destined to evermore heavily condition company continuity and company growth (and hence the entire paper & cardboard converting sector). Among the many talks that animated the Sirolo event, we propose one, that offered extensive food for thought. Federico Visconti

We are going through a historic period during which some questions are persistently (and not without a vein of alarmism) brought to the attention of the general public: what are the structural scenarios being delineated for the Italian economy? Will the competition from Asia and other countries with low labour costs continue to deprive us of areas of activity and market space?
Is Italy headed for deindustrialisation? What sectors would still ensure continuity of economic development and prosperity to the new generations?
These are important questions, that involve economic but also socio-economic phenomena, where preconstrued, superficial answers in no way suffice. Within this debate though one leading concept needs to be established: we Italians cannot afford to neglect, to debase and to lose what we are able to do well, that is a vast range of products, within sectors like textiles and fashion, interior design, footwear, glasses, precision mechanics, jewellery and the like. As some leading economists have stated, we need to start up again from what we are capable of doing, we need to relaunch the model that has ensured us decades of economic development. In other words, today “another model” does not exist and perhaps cannot even be glimpsed on the horizon.

The value
of the small firm

The Italian way to development, which has also attentively observed from abroad, hinges on the small-to-medium-sized concern, often united in the form of industrial zones and sustained by a strong entrepreneurial vocation, open to risk, to change, to work ethics.
A strange combination of geographic, social, cultural and also economic facts has generated and progressively consolidated that model of small firm that stands as a fundamental key for understanding Italian economic development. Not by chance a recent study (Simon 2001) documents the existence of a multitude of “hidden champions”, small and medium-sized firms that occupy lead positions at European if not at world level; for the most unknown to the general public; they create “invisible” and/or “low profile” products; due to the limits of the Italian domestic market they have been forced to project internationally; these concerns have shown surprising capacities for survival, thanks also to the motivations and the energies of the structures typical to family-owned concerns.

The challenges
of the market

Over the last few years the small-to-medium-sized concern has been increasingly placed under pressure. They now face multiple challenges of a structural nature: the globalisation of markets tends to increase the size of the main segments, calling for logic of volume and economies of scale; the emerging competitors benefit from advantages of cost and create continuous improvement in the quality of the products and in the service standards; the evolution of the distribution system transfers ever greater contractual power onto the performers lower down the chain, reducing the economic margins of the SMFs committed to converting activities; the spread of Internet and other information technologies has modified intercompany relations, speeded up information flows, reduced the importance of the zone factor. This panorama of intense evolution is beset by a recurring worry: “our companies are too small to compete in the new economic scenarios”. In other words: growth is needed (Onida 2004).

A response: growth
Over and beyond the slogans, the main motivations pressing the SMFs to increase their size are the following (Alberti, Cortesi, Salvato 2004):
• Improvement of productivity, understood as the relation between product value, this as it is perceived by the customer, and the cost of the manufacturing factors used for making the same. In the former case, growth leads to a reinforcement of the company image, the concern gains greater visibility in relation to its competitors, and resources can be freed for increasing the service content to the customers etc. In the latter case, the increase in production volumes means economies of scale and of experience and purpose are created that lead to a reduction of the unit costs and hence to a greater competitivity in terms of costs.
• Geographic increase of the markets and/or aggressive behaviour of the competitors. Successful positions lasting for years risk being jeopardised because small concerns are failing to focus on market development trends (particularly in a geographic sense) and aboveall on the longterm strategies of their most important competitors.
In these cases, growth is a condition for survival.
• The growth in size of the customers and/or suppliers. In recent years a polarising of contracting power around some key actors, very often located downstream, has been seen along the chains populated by small firms. In this competitive context, increased size can stand as a way of limiting the economic impact of relations with customers and with main suppliers.
• Technological progress. In the sectors with a strong innovation content (product and process), being small entails a series of structural limitations. In this case growth enables the attainment of the critical mass needed to develop and to introduce new technologies and consequently, be actively competitive.
• Mobilisation and the accumulation of resources. The development of exclusive skills and knowhow stands as a fundamental condition of success. Growth in size on this count is fundamental as a driving force, enabling the concern to draw in valuable human resource, to attract capital of the right qualitative-quantitative mix, to negotiate the required manufacturing and infrastructural conditions with the local authorities.

The ways to development
In synthetic terms, forcing the economic dimensions of the problem, growth strategies can be targeted in three ways: increase the company size within the existing activity, thus resorting to effects of scale and experience; get involved in activities situated upstream or downstream of those carried out traditionally, thus pursuing economies of transaction; turn to activities involving the manufacture and marketing of new products, within what are defined as economies of purpose or scope.
Having clarified, at least at a general level, the main motivations at the origin of growth in size, it would be a good idea to some degree consider the way growth is achieved. There are many alternatives. All the same these can be seen to come under two large families: socalled internal as against external growth.
In the first case, the small concerns tend to broaden their nucleus of activity, resorting to direct investments and exploiting their endogenous resources and skills built up over the years.
In the second case, the company combines its own resources, its own capacities, its own strongpoints with those of other concerns, this by way of cooperation agreements, alliances, mergers or buy-ups. For many reasons (connected in various ways to the time involved in carrying out operations, the resources to be invested, the degree of strategic flexibility) the latter is the most common mode of growth for the SMFs, more specifically in the forming of groups. The group in fact leads to synergic effects typical to the larger concerns (for example in purchasing procedures, in R&D, in administering financial resources) without sacrificing the flexibility and the entrepreneurial approach typical to smallscale concerns.

Human capital
and organization

The analysis of the growth strategies enacted by numerous concerns that have managed to conquer key positions in their respective markets leads one to raise some critical points, or one might say, lay down some conditions for success.
A first consideration covers the capacity of “visioning” and the conception of growth in scale: the entrepreneurs open to the challenge of growth fail to initially define the thresholds within which the company can be managed, beyond which company continuity would be jeopardised by increased complexity of management. A second condition involves a substantial change in the role of entrepreneur: going from “front line man” to the manager of resources, planner and controller. In other words: you need to co-opt valid managerial resources and delegate. A third condition, connected to the previous ones, places the onus on decision aiding tools; experience and intuitive capacity are no longer enough, tools and models have to be introduced for analysing the profitability of the various product lines, for managing the distribution networks, for programming and controlling financial flows and so on. Lastly, one has the financial scale of the problem. Expanding companies will see a sudden increase in their need for resources due to the investment of fixed or circulating capital, or from extraordinary operations functional to the planned growth. Here too a managerial model that may be completely different to the one existing when the company was stable in size may have to be adopted.

Winning strategies
The panorama of the Italian small-to-medium-sized concerns is anything but stagnant, apathetic or passive. Placed under pressure, companies are responding, to the point where the constituent features of the “Italian way” to industrial growth are progressively changing: the process of concentration underway in many sectors is leading to the emerging of the sturdiest component within the system, that is the leading concern; the geographical borders of strategic undertakings now extend well beyond the confines of the local market (considering the phenomenon of industrial zones, one now speaks of the existence of an “industrial zone Italy” where the activities of greatest added value are concentrated - and a foreign zone where advantages in cost deriving from the new international labour divisions are sought after); the network of services supporting the concerns takes on new horizons, it becomes international, plans cooperative agreements, facilitates exchange of resources and knowhow between different concerns in different countries.
A question remains: what has become of and indeed what will become of that approach, that industriousness, that wealth of ideas and motivations, that entrepreneurial spirit that fostered the phenomenon of the small firm in Italy? It is hard to find an answer, some clouds are on the horizon, but one cannot but confide in the energy and tension that the entrepreneurial class has always been able to show, aboveall in the most difficult of moments.

Act as a system
One thing is for sure, the entrepreneurs should not be left out on their own, There is space for initiatives to aid the concerns that must be rapidly focussed on to then even more quickly create effective solutions. One only has to think of the new knowhow and the process/product innovation: for many SMFs, ever less self-sufficient, the acquisition of scientific knowhow codified through the cooperation of the University and the Centres of excellence is becoming evermore strategic. Or as regards the need to recover competitivity in terms of costs: here, in accordance with the trade unions, contractual formulas that render relations more flexible and that reduce the effect of labour costs, while safeguarding the professional contribution offered, should be experimented with. Or again as regards the need of financial resources arising from the plans for growth on international markets, from buy-up operations to the launch of new products: here new models of cooperation between companies and the banking system would be welcome, these should be flexible and graded to the needs of the small-to-medium-sized firms. The list of areas where action could be taken could be continued, including the public and private bodies directly involved.
A point is to be held in consideration: the continuity of development of the model of the smallscale concern goes by way of the choices and the modes of action of the entrepreneurs, but also through synergic, timely and effective action taken by the many agents that interact with the same. In these weeks various economic performers have repeatedly exhorted those concerned to team up, to act as a system. It should not to be forgotten that the SMFs,
in different ways and forms, have always demonstrated that they are system. The problem is not that of starting up radical changes, but that of consolidating and developing the wealth of ideas, values, of skills and knowhow, of relations that have contributed to the economic growth of Italy.

The role of Gifasp
The recent developments in the paper&cardboard converting sector reflect many of the problems broached: the competitive pressure within the sector is growing, the agents operating outside the sector are mostly able to negotiate from a strong position, the geographic area is broadening and important signs of internationalisation of the markets are to be seen, and here not only the main markets. Here too, the companies are reacting to the challenges and every year significant “competitive movement” is registered, what with buy-ups, concentrations, processes of company selection. Once more fulfilling its invaluable task of process “facilitator” or in other words, taking on a typical role of “metamanager”, Gifasp has created an important occasion for reflection, critical exchange and opening on the subjects that are liable to evermore heavily condition the continuity in the development of concerns and hence of the entire sector.

Federico Visconti
Impresa Sviluppo Srl, Milan