Far di necessità virtù’
Making a virtue of necessity

Primati spodestati e ascese irresistibili nello scenario competitivo internazionale: un affresco a tinte forti, per capire in quale ambiente si muovono (e dovranno muoversi) le imprese italiane.
Record-breaking performances and irresistible rises in the international competitive scenario: a sensational picture, to help us understand the ground that Italian concerns are (and will be forced to be) moving on.
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TENDENZE Primati spodestati e ascese irresistibili nello scenario competitivo internazionale: un affresco a tinte forti, per capire in quale ambiente si muovono (e dovranno muoversi) le imprese italiane. Ado Sattanino

Premettendo, fra il serio e il faceto, che è impossibile azzeccare tutte le previsioni (e che gli esperti in genere “vanno a naso”) Mario Renzo Deaglio ha definito la fase economica attuale come perturbata, prendendo in prestito dalle previsioni meteo un termine che rimanda alla variabilità e al rischio di brutto tempo.
La sua analisi, in realtà, è stata tutt’altro che incerta: puntuale e ben supportato dai dati 2004, lo studio di Deaglio ha spazzato il campo sia dalla retorica del declino a tutti costi, sia dai facili e superficiali trionfalismi. Le trasformazioni che interessano lo scenario competitivo globale, ha ricordato l’economista, sono rapide e radicali, e le gerarchie fra le nazioni sono destinate a mutare; l’Italia, tuttavia, dispone ancora di strumenti e cultura imprenditoriale per essere vincente. Riassumiamo qui di seguito alcuni dei punti principali del suo intervento, che abbiamo ascoltato alla scorsa Assemblea annuale di Unipro.

L’esplosione
produttiva asiatica

Non si era mai visto un boom di tali dimensioni e in tempi così rapidi: nel 1985 i Paesi ricchi (Nord America, Europa Occidentale, Giappone e Australia) esprimevano il 60% del PIL mondiale, contro il 12,8 di Cina, India e altre “tigri” asiatiche; nel 2005, invece, il primo gruppo scende al 53,5 mentre il secondo sale al 26,5%.
• La Cina è balzata dal 4,8 al 14%, ed è il primo produttore mondiale non solo di gadget, ma anche di acciaio e beni industriali avanzati, come hardware e strumenti ICT. Colosso industriale e finanziario, la Cina esercita oggi una forte influenza politica: a tacere degli appalti miliardari a favore di aziende francesi e tedesche per la ristrutturazione della sua intera rete ferroviaria, Pechino ha più volte salvato le nostre aste di BOT e CCT, e detiene una quota preponderante del debito pubblico italiano, che a sua volta concorre a circa il 50% del debito complessivo di Eurolandia. È dunque improbabile che i governanti italiani ed europei vogliano andare sino in fondo, quando parlano di dazi doganali.
• L’India ha visto il proprio PIL passare dal 4,4 al 7,1% del totale; il suo punto di forza è il terziario avanzato (realizza, per esempio, il 55% del software mondiale). Il Giappone, in parte ridimensionato dalla lunga crisi degli anni ’90, ha intanto spostato il proprio baricentro dal Pacifico (rapporto privilegiato con gli Usa) al Mar Giallo (integrazione con gli altri Paesi della Regione).
Si sta dunque formando un’area integrata su solide basi industriali, finanziare e tecnologiche, destinata a spostare in modo irreversibile gli equilibri mondiali.

Fra incertezza e ottimismo
Venendo poi alle “contraddizioni dell’Impero americano”, Deaglio riporta tre verità scomode: la produzione industriale Usa non riesce ancora a superare i livelli della primavera 2000; i consumi dei beni durevoli sono stazionari dal 2004; la crescita economica è dovuta solo alle spese militari e all’edilizia. I principali indicatori, del resto, suscitano qualche perplessità.
In primo luogo, il rapporto deficit/PIL è passato in 4 anni da +1,5% a - 5%, per colpa del taglio delle tasse (misura che, tra l’altro, non sta stimolando l’economia come sperato). Il deficit estero, al contempo, peggiora di due miliardi di Euro al giorno: gli americani non riescono a esportare i loro prodotti industriali, nemmeno facendo forza su un dollaro svalutato. Infine, l’indebitamento di famiglie e imprese ha ormai raggiunto livelli di guardia. Nessuno si sogna di intonare il De profundis della supremazia economica americana, ancora forte, ma non si può nemmeno ignorare che le sue basi si stanno lentamente indebolendo: un fenomeno che, tra l’altro, sembra “costringere” gli Usa a una politica estera interventista.
• Quando si parla di Europa, invece, si è tentati di assumere quel contegno che mostriamo, in genere, di fronte ai malati gravi. In realtà, avverte Deaglio, pur fra molte incertezze s’intravedono i segnali di una ripresa duratura. L’Euro, di fatto, ci ha protetto dal forte rialzo del prezzo delle materie prime, mentre le “spalle larghe” dell’UE ci consentono di venire a patti con i potenti del mondo (pensiamo ai duri confronti in seno al WTO con gli Usa), costruire un mercato più libero, investire in infrastrutture, integrare e valorizzare le economie dei Paesi dell’Est europeo. Non saremo più il centro del mondo, insomma, ma ci sono le potenzialità per costruire ancora anni sereni.

L’anomalia italiana
Per quanto riguarda il nostro Paese, per il 2005 è verosimile un PIL in crescita dello 0,8/1,5%, con i consumi in rialzo dello 0,5/1,2%.
Sull’attendibilità delle previsioni pesa tuttavia l’esito di alcune crisi industriali ancora irrisolte (Fiat, Alitalia, settore tessile), mentre le tensioni politiche interne e la scarsa simpatia che l’Italia ora gode in Europa (nei fatti, si preferisce la Spagna) potrebbero complicare ulteriormente il quadro; un quadro nazionale, del resto, in cui le uniche luci sembrerebbero essere gli investimenti legati alle grandi opere pubbliche.
Come abbiamo ricordato in apertura, Deaglio ha svolto queste dense considerazioni su invito di Unipro. Ecco perché ha voluto concludere il proprio intervento con alcune indicazioni sullo stato di salute - e sulle prospettive - del comparto italiano della bellezza.
• Guardando dunque più da vicino alle imprese italiane del cosmetico, si può quasi parlare di una “anomalia positiva”; le aziende del settore vantano infatti un buon livello tecnologico e una forte presenza internazionale. Dispongono inoltre di una ricca gamma di prodotti sia ciclici sia anticiclici, che mettono cioè al riparo dagli andamenti stagionali e congiunturali.
Al momento, dunque, si può affermare che la concorrenza dei Paesi emergenti non deve preoccupare nessuno; eppure, cinque o sei anni fa, la stessa dichiarazione veniva fatta a proposito del calzaturiero e dell’abbigliamento, i due comparti “orgoglio del Made in Italy” che sono comunque entrati in difficoltà.
La ricetta, insomma, non esiste: il segreto è rimanere sempre un passo avanti per capire i reali bisogni del consumatore, nel segno di una cosmetica che, in tutto il mondo, non è più soltanto ricerca di bellezza, ma soprattutto cura del sé.



The new world
Making a virtue of necessity


TRENDS - Record-breaking performances and irresistible rises in the international competitive scenario: a sensational picture, to help us understand the ground that Italian concerns are (and will be forced to be) moving on.
Ado Sattanino.

Starting off by saying, half in jest and half in earnest, that you can’t always get your forecasts right (and that experts generally rely on guesswork) Mario Renzo Deaglio defined the current economic phase as “worsening”, borrowing a term from the weather forecast, indicating change and possible oncoming bad weather. And indeed his analysis of the situation is clear cut: to the point and backed up by the figures for 2004, the Deaglio study clears the field of both the rhetoric of economic demise at all costs as well as superficial vauntings. The changes affecting the world competitive scenario, the economist reminds us, are rapid and radical, and the hierarchy of nations is liable to change; all the same Italy still has the cultural and entrepreneurial tools to make the country a winner. We here sum up some of the main points of his talk, given at the last Unipro annual assembly.

Soaring production
in Asia

Never before has there been a boom of such size over such a short period of time: in 1985 the rich countries of the world (North America, western Europe, Japan and Australia) accounted for 60% of the world’s GNP, against the 12.8 per cent of China, India and the other Asian tigers; in turn in 2005 the former group dropped to 53.5% while the latter rose to 26.5%.
• China has leapt from 4.8% to 14%, it is not only the first world producer of gadgetry, but also of steel and advanced industrial goods such as hardware and ICT tools. An industrial and financial colossus, China today has a strong political influence: over and above the billion dollar contracts assigned to French and German concerns for restructuring its entire rail network, Peking has on several occasions saved the Italian auctions of Treasury bills, and detains a large part of Italian public debt, that in turn makes up for around 50% of the overall European debt. It is hence unlikely that the Italian and European governments want to go the whole way when they talk about customs barriers.
• India has seen its own GPL go from 4.4 to 7.1% of the total; its strongpoint is its advanced service industry (for example it creates around 55% of the world’s software). Japan, whose economy shrunk during the crisis in the nineties, has meanwhile shifted its barycentre of operations from the Pacific (privileged relations with the US) to the Yellow Sea (integration with the other countries of the region).
Hence an area integrated on a solid industrial, financial and technological basis is forming, that will change the world balance irredeemably.

Between uncertainties and optimism
Going on to the “contradictions of the American Empire”, Deaglio underlines three unsettling truths: US industrial output still hasn’t gone beyond that of spring 2000; their consumption of durable goods have been stationary since 2004; economic growth is only due to military spending and the construction industry. What is more main indicators are a source of perplexity. In first place, the deficit/GNP ratio in four years has gone from +1.5% to -5%, due to tax cuts (measure what is more that is not stimulating the economy as hoped for). The foreign deficit at the same time, is worsening by two billion Euros a day: the Americans are unable to export their industrial goods, not even spurred on by a deflated dollar. Lastly, the indebtedness of families and companies has by now reached emergency levels. Noone as yet dares to announce the waning of American supremacy, that is still strong, but all the same you cannot ignore the fact that its basis is becoming ever weaker: a phenomenon among other things that seems to be “forcing” the US to adopt an interventionist foreign policy.
• When one speaks of Europe, though, one tends to take on the approach normally used for the chronically sick. In actual fact, Deaglio notes, even though amidst a thousand uncertainties, signs of a longterm recovery can be glimpsed.
The Euro has in fact protected us from a strong rise in the price of raw materials, while the “broad shoulders” of the EU has enabled us to come to terms with world powers (one only has to think of the serious diatribe at the WTO with the US), allowing us to build a freer market, invest in infrastructures, integrate and valorize the economies of eastern Europe. That is to say we are certainly no longer the centre of the world, but we have the potential for still providing some good years ahead.

The Italian anomaly
As far as Italy is concerned, 2005 is likely to see a GNP growing 0.8%/1.5%, with consumption up 0.5%/1.2%. The likelihood of the forecasts coming true depends on the outcome of certain industrial crises that still have to be solved (Fiat, Alitalia, the textile sector) while domestic and political tensions and Italy’s low popularity rating in Europe (in fact Spain is preferred) could further complicate things; a national picture, what is more, in which the only light would appear to be investments connected to great public works. As we reminded people in the opening, Deaglio made his considerations on the invitation of Unipro. Which is why he wound up his talk with some indications as to the state of health - and on the prospects - of the Italian beauty segment.
• Indeed taking a close look at the Italian cosmetics concerns, one can in fact speak of a “positive anomaly”; the companies in the sector can in fact boast a good technological level and a strong international presence. They also have a rich range of both cyclical and non cyclical products, that hence shield them from the seasonal variations and the run of the market. Currently that is to stay one can state that the competition between emerging countries should not worry anyone; all the same five or six years ago the same declaration was made as regards footwear and clothing, two sectors that are the pride of Italian production but that at any rate have encountered difficulties. Hence there is no sure formula: the secret is to always stay a step ahead to understand the real needs of the consumer, fostering cosmetics that throughout the world is no longer just the quest for beauty, but aboveall a question of looking after oneself.