Con grande ottimismo

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Editoriale di Stefano Lavorini

Sembra strano, anzi provocatorio, sentir parlare di ottimismo in una situazione di mercato come quella attuale, ma nel mondo dell’imballaggio può succedere.

Ho ascoltato voci fuori dal coro in occasione di un recente incontro con due imprenditori bolognesi, nient’affatto simili per storia e cultura professionale, che però sembrano condividere una fiducia ferrea nelle capacità del singolo e dell’impresa di saper interpretare e competere anche in un mondo globalizzato.

Testimoni di due modi di fare impresa seguendo filosofie assai diverse, Matteo Gentili e Maurizio Marchesini - il primo presidente di PRB Spa, ora nel network TMC, il secondo amministratore delegato di Marchesini Group Spa - hanno tra l’altro saputo dialogare e trovare ragione di accordo, con la prospettiva di valorizzare competenze e specializzazioni.
Su questo sentimento comune nasce dunque l’acquisizione da parte di Marchesini del marchio e della tecnologia PRB per il settore cosmetico e farmaceutico (per maggiori informazioni http://dativoweb.net).
«È un’operazione che va a vantaggio di entrambe le aziende, dato che ci consente di riconcentrare il focus sui mercati dove ognuno di noi è ben presente», ha sottolineato Marchesini.
Anche Gentili è molto esplicito: «Abbiamo percorso una strada inusuale rispetto alle logiche “bolognesi”, in base alle quali spesso ci si pesta i piedi a vicenda. Una scelta virtuosa invece che viziosa».

C’è accordo tra i due anche quando si parla di approccio ai mercati (probabile che, in questo, conti la comune appartenenza a Ucima). Per Gentili «il mondo è cambiato e ci impone di confrontarci con player internazionali e clienti multinazionali che hanno bisogno non di una macchina ma del supporto di un’azienda, di un partner in grado di fornire servizi, come la consulenza, la formazione, l’assistenza... Inoltre, ci sono mercati in cui se non si ragiona in termini locali è difficile radicarsi, come ad esempio negli USA. E in quest’ottica, anche se esportiamo già il 90% della produzione, è necessario diventare più internazionali, cambiando modello industriale e cultura aziendale».

«Dobbiamo cercare di capire come sfruttare la crescita di alcuni paesi, anche se lontani e difficili» aggiunge Marchesini «tenendo presente che per vendere in Cina, America Latina, Russia ci vuole preparazione, tempo, investimenti.
D’altronde, quelle che da noi sono piccole nicchie, magari a elevato contenuto tecnologico e quindi più difendibili, in quelle aree geografiche hanno ben altre dimensioni, molto interessanti per noi, ma non appetibili per le capacità produttive dei costruttori locali».

Che siano gli Usa o la Cina, il Sud America o la Russia sembra proprio che quello che fa la differenza siano - al di là della qualità dei prodotti, fuori discussione - da una parte la capacità di relazione con i clienti e l’offerta di servizi, dall’altra la ridefinizione delle logiche di filiera che comprendono anche il mondo della subfornitura.

In definitiva il messaggio è chiaro: c’è ancora tanto da lavorare a patto di saper guardare al futuro.

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