Il valore economico e sociale dell’industria alimentare italiana

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Non è solo un colosso che genera prodotti e occupazione, ma un sistema complesso che incarna valori e genera soluzioni, rispondendo alla molteplicità di bisogni materiali e immateriali degli italiani. Spunti dal Rapporto Federalimentare-Censis 2023, che traccia una fotografia inedita dell’industria alimentare nazionale e del suo legame profondo con economia e società.

A cura di Milena Bernardi

Nelle graduatorie dei settori manifatturieri italiani è al primo posto per fatturato, al secondo posto per numero di imprese, per addetti e anche per export in valore. L’industria alimentare tricolore vanta 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60 mila imprese, 64 mila addetti e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno, equivalenti, rispettivamente a +24,7%, +12,2% e +60,3% negli ultimi dieci anni.

Numeri più che sufficienti per considerarla traino dell’economia nazionale, ma anche perno su cui ruota il benessere psicofisico e la qualità di vita degli italiani, dimostrando così anche un elevato valore sociale.

Protagonista di rilievo all’interno della filiera del food italiano (607 miliardi di euro, 1,3 milioni di imprese e 3,6 milioni di addetti), l’industria alimentare risponde a una spesa interna pari al 16,6% del totale, in linea con la Spagna, superiore a Francia (15,7%), Paesi Bassi (13,9%), Germania (13,4%) e alla media della Ue a 27 Paesi (16,1%).

L’elevata reputazione sociale

L’86,4% degli italiani dichiara di avere fiducia nell’industria alimentare italiana. È una fiducia trasversale alle diverse fasce generazionali: il 93,8% degli anziani, l’84,2% degli adulti e l’81,6% dei più giovani. Inoltre, l’80% degli italiani ritiene che il settore generi più benefici che costi, mentre il 20% pensa sia vero il contrario. La dimensione localistica e nazionale dell’industria alimentare italiana è un altro elemento molto apprezzato dal 78,3% degli intervistati in quanto considerato fonte di reddito e occupazione. Il cibo italiano è espressione di identità e orgoglio nazionale, sintesi di tradizione e contemporaneità, di radicamento territoriale e capacità di portare l’italianità nel mondo.

Stili alimentari e valori

Il 92,7% degli italiani dichiara di mangiare un po’ di tutto senza particolari vincoli, il 7,1% è vegetariano e il 4,3% vegano o vegetaliano.

Entrando più nello specifico, a tavola il 42,1% si definisce un abitudinario, mangia cioè più o meno sempre lo stesso cibo, il 20,5% un innovatore a cui piace sperimentare alimenti nuovi, il 9,2% un salutista, il 7% un appassionato, il 6,3% un italianista (sempre e solo prodotti italiani), il 5,8% un convivialista, (considera il cibo importante perché occasione per stare con gli altri), il 4,4% godereccio (mangia sempre quel che gli piace).

Per gli italiani, infine, sono importanti anche i valori etici e sociali che li orientano quando fanno la spesa o si mettono a tavola: il 66,7% è pronto a rinunciare a prodotti che potrebbero essere dannosi per la salute, il 52,6% a quelli non in linea con criteri di sicurezza alimentare, il 43,3% a quelli la cui produzione e distribuzione non rispetta l’ambiente, il 35,6% a quelli per la cui produzione non sono tutelati i diritti dei lavoratori e dei fornitori.

Promozione del benessere e welfare dei consumi

L’articolata offerta dell’industria alimentare italiana consente l’accesso, per tutti, ai prodotti desiderati con relativo positivo impatto sul benessere psicofisico delle persone (lo pensa il 90,7% degli italiani). La sua dimensione sostenibile a livello di prezzi, inoltre, rende possibile l’inclusività, anche dei gruppi sociali più vulnerabili, nei consumi alimentari.

Interessante rilevare che, pur non rinunciando al rigoroso controllo del budget familiare, il 63,4% del campione per alcuni alimenti acquista solo prodotti di qualità, senza badare al prezzo. Il 79%, pur praticando diete soggettive nel perimetro di quelle tipicamente italiane, apprezza la disponibilità di nuove referenze nei punti vendita. Tali aspetti, affiancati alle diete plurime del quotidiano, delineano l’estrema articolazione della domanda di prodotti alimentari che viene espressa dagli italiani.

Consumatori consapevolmente informati

Il consumatore contemporaneo è stimolato a ricercare le informazioni che gli consentono di valutare se e in che misura un’azienda o un prodotto sono conformi al suo sistema di valori e a quel che dicono di essere o fare. Siamo di fronte a un consumatore attento, consapevole, cauto, spesso diffidente, “armato” com’è dell’ormai inseparabile smartphone che gli consente, in qualsiasi momento, di reperire e selezionare le informazioni utili a decidere sui propri consumi. Prioritario il tema della sicurezza alimentare, ormai tra i principali driver delle scelte di consumo, in misura amplificata dopo l’esperienza emergenziale del Covid-19.

Esportare la cultura alimentare nazionale

L’export dei prodotti è anche una modalità di trasferimento di stili alimentari, di culture di riferimento, di identità territoriali e, più in generale, dello stile di vita di una società. Se l’agroalimentare italiano ha già dato prova di performance straordinarie per la qualità dei prodotti, valutati in tutto il mondo come buoni, salutari e genuini, occorre ora valorizzare ulteriormente, nell’immaginario collettivo dei consumatori dei mercati da conquistare, la distintività nostrana, evocatrice della biodiversità e della molteplicità enogastronomica e culturale praticamente unica. Laddove le imprese alimentari sono obbligate a ricorrere all’importazione di talune materie prime o semilavorati non disponibili sul territorio nazionale, occorre individuare economie partner che rientrano nelle sfere di influenza del tricolore. Tale scelta strategica porterà a intensificare le relazioni con i Paesi europei, con quelli anglosassoni e con i Paesi del Mediterraneo, per non ritrovarsi fragili di fronte al mutare del contesto geo-politico.

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