Liberi pensieri, a partire dall’imballaggio

L’essenza di una borgognotta

Nuoto in un magma informe, fumante, un vortice lento
mi trascina verso il basso, intorno un gran frastuono, colpi secchi e ben ritmati sembrano scandire un tempo sconosciuto, sfiati improvvisi e tonfi cupi si alternano a batterie di fischi, in sottofondo sento rullii e continui tintinnamenti
Maurizio di Robilant


Il senso di incandescente liquidità rende indefinita la mia auto-percezione, eppure avverto in questo scorrere magmatico una trepidazione, il presentimento di una mutazione, come una prossima rivelazione, un consolidarsi del mio essere.
Il vortice aumenta il ritmo e la gravità fa sentire la sua forza, è un’accelerazione in progressione geometrica, mi allungo e mi rivolvo, separandomi in goccia precipito in un coro di sibili…
La premonizione si avvera brevissima, lungo la caduta percepisco finalmente la mia forma, la mia essenza di goccia, unica, separata dal magma primordiale. Il contatto con l’aria che mi rinfresca tende subito a raffreddarmi, dal basso mi sale veloce un brivido e il mio calore lascia il posto ad un senso di gommosità.
Gli avvenimenti successivi sono tanto repentini che solo la memoria mi permette, a posteriori, di decifrarli.
Non avevo ancora avuto il tempo di gioire della mia nuova condizione di estatica indipendenza, che con uno schianto secco, passando di colpo da una luce fioca al nulla più profondo, mi andavo dissolvendo contro una superficie di una durezza che percepivo come assoluta. Percorrevo veloce, nello sfaldarmi, l’area d’intorno, facendo giusto in tempo a percepire la mia nuova circolarità, quando un getto d’aria, peggio di una bufera si avventò su quanto rimaneva di quel che pensavo di essere, spalmandomi lungo levigatissime pareti d’acciaio. La pressione dell’aria aveva riempito ogni spazio disponibile trasformandomi in una intercapedine tra sé e le pareti cilindriche che mi contenevano.
Mentre incalzavano gli avvenimenti, sentivo la mia calda gommosità di goccia mutare rapidamente il proprio stato, raffreddandomi cristallizzavo lentamente e iniziavo a percepire una certa fissità.
Cambiare stato dà sempre una certa ansia, ci si vorrebbe preparare per tempo, abituarsi all’idea… c’è di buono che la rapidità degli eventi fu tale da non permettermi troppe introspezioni. Sembra passato il finimondo e una luce filtra da un foro sopra la mia testa, tiro il fiato, sono sopraffatta, ma percepisco la conclusione di una fase fondante, drammatica e meravigliosa.
Un cigolio accompagna lo schiudersi dello stampo, la luce fa capolino tra le fessure meccaniche che mi liberano dalla presa mentre un nuovo arnese mi solleva per la gola per depositarmi sul vicino nastro trasportatore.
Il nastro si muove piano, sui fianchi delle guide mi proteggono dal rischio di cadere… ho l’impressione di essere protetta, dopo tanti sconquassi è una sensazione davvero piacevole. A questa si aggiunge la scoperta di essere in compagnia, infatti mi spalleggio e vengo spalleggiata da una moltitudine di consimili; una marea ad un secondo sguardo!
Presa dalle mie riflessioni vengo colta di sorpresa da una doccia fresca che ci lava tutte per poi spruzzarci con un protettivo contro i raggi UV. Intanto il tintinnio del nostro avanzare riempie ogni cosa.
Mi riconosco nelle mie compagne, belle bottiglie scure con la spalla alta e il fondo leggermente rastremato, il collo lungo che termina con una baga elegante e ben dimensionata.
Scoprirò più avanti di essere una borgognotta in vetro verde antico del peso di 750 g.
Mi piaccio! Sono elegante e forte al tempo stesso, le mie radici legate alla Borgogna mi danno un certo non so che, un aristocratico senso d’appartenenza che mi fa scoprire un po’ snob.
Mi domando, in un fantasticare puramente accademico, cosa dovrò contenere, chi sarà il mio coabitante e dove mi capiterà di incontrarlo… ma sotto sotto lo so già di essere una classica, bella ed elegante bottiglia da vino.

Il mio snobismo si scontra frontalmente con una doccia gelata che mi rimette in riga con le mie compagne mentre dopo il lavaggio veniamo fonate, attraverso un tunnel, come delle “sciantose” in camerino. L’ambiente in cui vengo condotta non somiglia lontanamente all’antro in cui presi forma, qui tutto è pulito e luminoso, lo sferragliare continua ma è più discreto, qualche sfiato e qualche colpo ritmano il nostro avanzare in un’atmosfera satura di profumi enologici… si può dire così?
D’un tratto mi sento presa in un carosello e rigirandomi uno scrosciare di vino mi riempie dal fondello alle spalle, la rapidità provoca un po’ di sconcerto, manca il fiato, se così posso esprimermi, ma allo sconcerto si somma lo spavento quando ricevo un sonoro colpo in testa che mi piazza un tappo dalla bocca al collo. È strettissimo e lo sento spingere sulle pareti come una nuova capsula in un dente.

Gli avvenimenti si svolgono in maniera diversa da quanto non avessimo immaginato, chiuse nel nostro cartone sentiamo voci velate che discutono di posizionamenti, valori di marca, canali distributivi, costi di produzione e macchinabilità. Si prendono appunti e si definiscono piattaforme creative, gli incarichi vengono definiti e il cartone viene aperto, noi, distribuite ai designer, finiamo sparpagliate per lo studio.
Son passati ormai due anni, ho imparato a conoscere il valore del tempo, ho capito che invecchiare bene è un’arte, che smussa gli eccessi e forma il carattere. La maturità porta con sé i grandi pregi della riflessività e della contemplazione che arrotondano e solidificano la personalità.

Sono distesa in una scatola di legno nella cantina del Quercet, rinomato ristorante milanese; volte a botte, luci soffuse e quel tanto di polvere che non guasta, distribuita con perizia dai vecchi mattoni messi tutti di costa; intorno centinaia, forse migliaia di bottiglie in bell’ordine disposte per tipo, provenienza e annata, pare quasi una cripta, un luogo sacro che il ristoratore mostra con orgoglio solo ad alcuni selezionati clienti: “Ci sono voluti anni, caro dottore… guardi qua, un Marsala del ’37, un gioiello…”.

Il sommelier mi dà una rapida spolverata, ma leggera, ché qualche traccia rimanga, e si avvicina a un tavolo dove una coppia sulla trentina sta chiacchierando in modo discretamente formale. La sala riluce di candele poste nei centritavola di fiori e di piccole foglie autunnali, gli avventori sono elegantemente disposti in modo da godere ciascuno della propria privacy. Piatti e sottopiatti principeschi sono disposti su tovaglie di fiandra color cremisi che si riflettono in grandi bicchieri di cristallo, tanto leggeri da flettersi leggermente nell’impugnarli.
Una volta stappata vengo esibita, in maniera decisamente teatrale, al cospetto del cavaliere, anche lui costretto ad un’analisi enfatica della mia immagine, fino a concludere l’abusato rito, con un cenno compiacente del capo, accompagnato da uno scontato sguardo d’intesa al propiziatore. Ma lo strazio continua con la goccia nel bicchiere, il rapido volteggiare della coppa intorno alla narice e, nel peggiore dei casi, lo scempio si chiude con il sorseggio del tapiro, un inverecondo e lento rimescolio della lingua sul palato che ricorda le più sgradevoli sedute odontoiatriche!
Finalmente vengo posta sul piedestallo di fianco al tavolo, e tra i due commensali partecipo alla loro serata, che è anche la mia.

Lui versa gentilmente nel bicchiere di lei, gli sguardi s’incontrano e i sorrisi diventano man mano più lunghi e persistenti, la bontà del vino suggella il calore dei cuori, le proiezioni future, i piaceri a venire, mentre la mia immagine contribuirà, in parte, a rendere memorabile il magico apparire dell’amore, resterà per loro uno dei particolari di questa serata intensa e un domani sapranno come trovarmi per rivivere la dolcezza dei loro ricordi.
Alcuni potrebbero collezionarmi, altri trasformarmi in una lampada, altri ancora staccare l’etichetta con perizia e aggiungerla alla propria raccolta, ma per una grande maggioranza ho svolto e concluso la mia funzione.
Portare gioia, intrattenere, essere complici di un po’ di felicità… ho avuto il mio momento, posso tornare consapevole al mio magma… pronta a ricominciare.

Maurizio di Robilant
Robilant & Associati
The essence of a Burgundy bottle

I am swimming in a shapeless steaming magma, a slow vortex drags me below, around me there is an enormous din, sharp blows at steady intervals seem to mark an unknown quantity of time, sudden blasts and dull thuds alternate with a percussion of whistles while in the background I hear a rumbling and clinking.

The sense of incandescent liquidity makes my perception of self hazy and yet I perceive in this flow of magma some trepidation, the presentiment of a mutation, like a future revelation, a consolidation of my being.
The vortex speeds up and I feel the force of gravity. It is an exponential acceleration. I stretch and turn and, separating into drops, rush headlong into a chorus of hissing…
The premonition will shortly come true. As I fall I finally perceive my shape, my essence as a drop, unique and separate from primordial magma. The contact with the air that refreshes me immediately begins to cool me down while from below a shiver rises and my warmth is replaced with a sense of rubberiness.
The events which follow happen so fast that only memory allows me, in hindsight, to decipher them.
I still had not had the time to celebrate my new ecstatically independent state when, with a crash, moving suddenly from a dim light to the blackest nothingness, I began to dissolve against a surface so hard I perceived it to be absolute. Disintegrating , I moved rapidly through the surrounding air, just in time to perceive my new roundness, when a jet of air, stronger than a gale, pounced on what remained of what I thought I was, splattering me onto polished walls of steel. The pressure of the air had filled all available space transforming me into a hollow space between itself and the cylindrical walls containing me.
While events followed each other closely I felt my warm rubberiness as a drop rapidly mutate into something else. Cooling down I slowly crystallised and began to perceive a certain fixity.
Changing states always create a certain amount of anxiety. One would prefer to have some time to get used to the idea.. The good thing is that the speed of events was such that I didn’t have time to brood.
The end of the world seems to have come and gone and a light is filtering through a hole above my head. I breathe in. I am exhausted but I realise this is the culmination of an initial, dramatic and wondrous phase.
The mould opens with a creak, light peeps through the slots in the machine which release me from the arm I am held in while a new contraption lifts me by the neck to deposit me on the nearby conveyor belt.
The belt moves slowly. On the edge there are runners which stop me from falling.. I have the feeling I am safe and after so much commotion it is a truly pleasant sensation. This is increased when I discover I am not alone. Indeed, I am shoulder to shoulder with an infinity of kindred spirits.!
I am shaken from my reverie by a cold shower which takes me by surprise. It washes us all and then sprays us with protection against UV rays. Our jangling progress drowns out everything else.
I recognise my companions, beautiful dark bottles with high shoulders and slightly tapering bases and long necks which end in an elegant and well-proportioned lip.
Later I will find out I am an antique green glass Burgundy bottle weighing 750 g. I like myself! I am elegant and strong at the same time. My Burgundy roots give me a certain je-ne-sais-quoi, an aristocratic sense of belonging which leads me to the discovery that I am something of a snob.

I loosely fantasise what I will have to contain, who my cohabitant will be and where I will meet him…but deep down I already know I am a classic, lovely and elegant wine bottle.

My snobbishness crashes head on with an icy shower which brings me back into line with my companions while, after being washed, we are blow-dried, in a tunnel, like a chanteuse in her dressing room. The environment I am led into does not look anything like the cave in which I came into being. Here everything is clean and bright. There is a continuous clattering but it is more discreet. A few jets and blows beat the rhythm of our progress in an atmosphere which is saturated with the perfumes of wines…can one say that?
All of a sudden I feel myself being gripped by a carousel and, as I revolve, wine splashes in, filling me from the base to the shoulder. The speed of it is a little unsettling, I can hardly breathe, if I may describe it like that, but the upset is compounded with fright when I receive a resounding blow to the head which shoves a cork all the way down my neck. It is extremely tight and I feel it push against the walls like a new tooth filling.
Events take place in different way to how I had imagined them. Closed in our box we hear dim voices which discuss positioning, brand values, distribution channels, production and engineering costs. They take notes and define creative platforms, tasks are assigned and the box is opened. Arranged by the designer we end up spread around the studio.

Two years have passed and I have learned how to appreciate time. I have understood that growing old gracefully is an art, which curbs excesses and shapes character. Maturity brings with it the great merits of reflectiveness and contemplation which round and strengthen character.

I am lying in a wooden box in the cellar of Quercet, a renowned Milanese restaurant. Barrel vaults, soft lighting and that measure of dust which does no harm, artfully dispersed by the old brick walls. We are surrounded by a hundred, perhaps a thousand, bottles tidily arranged by type, origin and vintage. It almost appears to be a crypt, a holy place which the restaurateur shows with pride only to a few chosen customers: “It took years, dear sir…look here, A 1937 Marsala, a gem…”

The sommelier gives me a quick but light dusting so that some trace remains and approaches a table where a couple aged about thirty is conversing rather formally. The room sparkles with candles in the centre arrangement of flowers and autumn leaves on each table. The patrons are elegantly seated in such a way that each enjoys his own privacy. Magnificent tableware is arranged on crimson linen tablecloths and reflected in large crystal glasses, so light they flex slightly when they are picked up.
Once I have been uncorked I am shown, in a decidedly theatrical fashion, to the gentleman who is also obliged to make a show of examining me until the hackneyed ritual is over, with an acquiescent nod of the head, accompanied with a predictable look of complicity at the propitiator. But the ordeal continues with the drop poured into the glass, the rapid twirling of the goblet in front of the nostrils and, in the worst of cases, an agonisingly slow sip and an indecent rubbing of the tongue on the palate, which recalls a most unpleasant session at the dentist’s! Finally, I am placed on the pedestal beside the table between the diners from where I take part in their evening which is mine too.

He gently fills her glass, their eyes lock and their smiles become gradually more lasting and lingering. The excellence of the wine seals the warmth in their hearts, their future plans and their future pleasures, while the idea of me will contribute in part to making the magical genesis of love memorable. For them it will remain one of the details of this intense evening and one day they will know how to find me in order to relive the sweetness of their memories. Some people may collect me, others transform me into a lamp, others painstakingly remove the label and add it to their collection but, for the vast majority, I have come to the end of my usefulness. To bring joy, to entertain, to be an accessory to happiness… I have had my moment. Knowing all this I can return to my magma… ready to start again.

Maurizio di Robilant
Robilant & Associati