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Evolution in flexo

M&M News
Nasce Bosch Rexroth
Bosch Rexroth came into being
Aggiornamenti sul processo di creazione delle immagini per lastre e sleeve flessografiche: confronti e valutazioni delle tecnologie disponibili.
Martin White
Se in termini qualitativi la flessografia si è sviluppata fino a diventare un processo paragonabile alla rotocalco e all’offset/litografia, nel caso dei prodotti in confezione completa si dovrà fare attenzione a non praticare prezzi proibitivi che potrebbero escluderla dal mercato, particolarmente nella fase di pre-stampa. Nella realizzazione di una sleeve di stampa rivestita con fotopolimero in continuo (CPPS), sulla sleeve grezza vengono create immagini attraverso un sistema digitale, e l’intero processo viene eseguito da una particolare apparecchiatura “rotante”; a questo punto, la sleeve (forma di stampa) è pronta per la stampa. Questo processo comporta dei costi di produzione molto elevati. I costi maggiori possono comunque essere compensati, in quanto i tempi operativi e di approntamento della stampa sono inferiori.
Un’altra tecnologia che prevede l’utilizzo delle sleeve è quella basata sulle sleeve digitali senza giunture. Con questo sistema, le lastre grezze vengono fuse sullo sleeve, i bordi vengono fatti fondere insieme e l’intera sleeve viene quindi frantumata per ottenere la forma definitiva. La sleeve viene poi rivestita con una mascherina sensibile al laser prima che su tutta la sua superficie vengano create immagini attraverso un sistema digitale.
Meno sofisticata è la produzione del flusso di lavoro per le lastre collocate sulla sleeve; in questo caso, le lastre digitali grezze vengono montate su una sleeve servendosi di un nastro. Sulla sleeve così preparata vengono create digitalmente delle immagini. Così come nei due sistemi descritti in precedenza, le sleeve su cui sono state create immagini vengono lavorate in rotazione. Occorre precisare che le lastre rivestite con fotopolimero allo stato grezzo sono costose rispetto a quelle litografiche. Ridurre il costo di questa fase del processo di pre-stampa flessografica sarebbe in sé e per sé sufficiente per collocare la flessografia in una posizione di grande vantaggio, in termini di costi di produzione delle lastre, rispetto agli altri processi.

Creazione di immagini su una lastra flessografica
In che modo viene trasferita l’immagine su una lastra flessografica? Di seguito troverete un confronto e una valutazione dei vari processi di creazione delle immagini utilizzati nella realizzazione di lastre flessografiche.

Pellicola negativa convenzionale (CNF) - Questo tipo di pellicola viene utilizzato da molti anni nella produzione di lastre di stampa flessografiche, rivestite con fotopolimeri. Sotto vuoto, la pellicola viene portata a stretto contatto con la superficie del materiale grezzo rivestito con fotopolimero e, attraverso le sue zone trasparenti, controlla la posizione e le dimensioni degli elementi dell’immagine creata mediante la luce ultravioletta.
Le lastre di stampa rivestite con fotopolimeri comunemente impiegate sono realizzate in materiali che, allo stato naturale, risultano estremamente morbidi, tanto da far sì che le lastre stesse aderiscano molto bene alle superfici lisce. Per evitare il conseguente rischio di effetti luminosi indesiderati, determinati dall’aria che viene “intrappolata” nell’applicare il vuoto, il lato emulsione della pellicola deve venire efficacemente opacizzato. Inoltre, la sua alta densità massima dovrebbe essere pari ad almeno 4,5 Dlog; diversamente, a causa dei tempi di esposizione relativamente lunghi che il processo di realizzazione delle lastre rivestite con fotopolimeri comporta, una quantità troppo elevata di luce ultravioletta passerebbe attraverso le zone oscurate del negativo e, di conseguenza, si otterrebbe una differenziazione più scarsa fra la aree di stampa e quelle di non stampa.
Nel corso degli anni, passo dopo passo, i materiali delle pellicole destinate a uno sviluppo di tipo chimico sono stati costantemente ottimizzati dai rispettivi produttori, fino a raggiungere oggi uno standard decisamente elevato. Tuttavia, essi sembrano già attraversare una fase di declino, per questo è lecito pensare che, probabilmente, non subiranno ulteriori miglioramenti con l’avvento di innovazioni rivoluzionarie. Gli unici progressi che ci si può attendere riguardano il settore della pellicola termica. Questo materiale, progettato per lavorazioni interamente a secco, presenta ancora dei limiti in termini di riproduzione dei dettagli e di risoluzione; tuttavia, i produttori ritengono che dovrebbe raggiungere il livello delle pellicole sviluppate chimicamente entro un periodo di tempo relativamente breve.
Quello che sembra essere il problema più serio legato alla creazione di immagini su lastre flessografiche utilizzando i negativi delle pellicole è la compensazione del notevole livello di ingrossamento del punto che si può eventualmente raggiungere. L’indispensabile riduzione dei valori tonali nel negativo di una pellicola comporta una perdita di valori tonali distinguibili nelle zone in luce. Di conseguenza, la definizione delle immagini, in particolare in quest’area spesso critica, non è sufficiente. Per risolvere questo problema sono state messe a punto, fra l’altro, le procedure di modifica descritte nel seguente paragrafo.

Pellicola negativa modificata - La pellicola negativa modificata è stata studiata in modo tale da consentire una compensazione dell’ingrossamento del punto, più elegante e allo stesso tempo migliore in termini di tempo, possibile soltanto grazie all’utilizzo di curve nel sistema di pre-stampa o RIP. L’obiettivo consiste nell’incidere sulla lastra dei punti che siano piccoli come nel CTP e, allo stesso tempo, nel mantenere la gamma di gradazioni dei toni sulla lastra della maggiore ampiezza possibile.
I due processi FlexoCal di ArtWork Systems e Optimizer di Advanced Flexo Technology si basano su un tipo di sviluppo brevettato dalla DuPont, che si avvale dell’abilità di numerose fotocompositrici per accrescere in modo selettivo l’intensità luminosa utilizzata per la creazione di immagini. Questo processo sfrutta il fatto che il punto colpito dal laser generato nella fotocompositrice sarà di dimensioni leggermente maggiori.
Quando si creano immagini sul negativo di una pellicola, le dimensioni delle zone trasparenti che definiscono gli elementi di stampa vengono quindi leggermente ridotte. Questo si ripercuote principalmente sui punti dello schermo. Uno dei vantaggi è che il ridimensionamento degli elementi dell’immagine viene effettuato più o meno secondo una modalità analogica. Ciò significa che non è necessario interferire con i dati digitali (ovvero utilizzando curve), e che viene mantenuta l’intera gamma di gradazioni di toni ivi contenute. Generalmente, dedicando più tempo alla creazione di immagini su una lastra, è possibile incidere su quest’ultima perfino i punti più piccoli.
Rispetto ai processi puramente convenzionali di produzione delle lastre, che prevedono l’utilizzo di negativi di pellicole compensati per mezzo di curve, FlexoCal e Optimizer consentono di ottenere una qualità di stampa decisamente migliore.
Tuttavia, vi sono anche degli svantaggi. Aumentando l’intensità luminosa nella fotocompositrice, questa viene portata ad una condizione instabile e non lineare, in virtù della quale il risultato del processo di creazione di immagini dipende in misura assai maggiore dalla qualità e dalla consistenza del materiale della pellicola negativa su cui è stata creata l’immagine.
Nella riproduzione, tutti gli elementi dell’immagine (inclusi i punti in mezzatinta) risultano poco nitidi. Questo richiede ulteriori procedure di controllo. Inoltre, la selezione di lastre flessografiche sulle quali è possibile creare immagini con negativi di pellicola prodotti in questo modo è piuttosto limitata, e la ripetibilità di tali negativi deve ancora essere provata. In definitiva, né la FlexoCal né la Optmizer sono in grado di eliminare il problema fondamentale legato alla realizzazione convenzionale di lastre: la dipendenza degli elementi dell’immagine dai suoi vicini immediati (vale a dire, la possibilità di mantenere un piccolo punto a tono intermedio sulla lastra dipende sostanzialmente dal fatto che sia adiacente ad altri punti più grandi e ad altri elementi dell’immagine o che sia più o meno isolato). Ciò è legato alla modalità di funzionamento della fotopolimerizzazione sotto vuoto e purtroppo non è possibile ovviarvi.

Processi CTP basati su mascherine (LAMS CTP) - Il funzionamento dei famosi processi CTP, oggi ampiamente impiegati nella realizzazione di lastre flessografiche, si basa sugli strati delle mascherine. Il materiale rivestito con fotopolimeri della lastra è rivestito con uno strato superiore opaco di colore nero, chiamato strato LAMS (Laser Ablation Mask System). Nei platesetter, tale strato viene in parte rimosso per mezzo di incisioni microscopiche praticate dai fasci di laser termico (a seconda dell’immagine da stampare). Durante la fase successiva, ben distinta dalla prima, il rilievo di stampa viene polimerizzato mediante luce ultravioletta.
Sono parecchi anni che i sistemi LAMS CTP vengono utilizzati con successo nella realizzazione di lastre flessografiche. Lo svantaggio di una struttura in un certo senso più complessa delle materie prime, unitamente ad un prezzo d’acquisto più elevato, passa in secondo piano rispetto ai notevoli vantaggi che questi sistemi offrono. Ad esempio, tutti gli elementi delle immagini creati grazie a questi sistemi hanno stampe in negativo e spalle molto più marcate rispetto alle lastre di stampa convenzionali. Questo processo è imbattibile qualora si debba riprodurre un testo di piccole dimensioni, sia in positivo, sia in negativo. Inoltre, i piccolissimi punti in mezzatinta possono essere generati nelle zone di luce, fatto che si rivela molto vantaggioso soprattutto nella stampa flessografica. Ultimo ma non per questo meno importante, gli elementi delle immagini sono indipendenti dai loro vicini, fatto che garantisce una maggiore praticabilità della produzione di lastre rispetto ai processi convenzionali.
Sebbene le prime volte possa sembrare complicato creare immagini su uno strato di mascherina, che viene poi utilizzato per guidare l’effettiva creazione di immagini del fotopolimero, questo procedimento si rivela in realtà vantaggioso. Separando le due fasi di creazione delle immagini, entrambi i componenti possono essere adattati singolarmente in base ai requisiti specifici. In particolare, lo strato della mascherina può essere ottimizzato in base alle caratteristiche del platesetter, mentre il fotopolimero può essere contemporaneamente impostato secondo le caratteristiche di stampa richieste. È stato proprio questo, di fatto, l’aspetto cruciale che ha spianato la strada al CTP nell’ambito della flessografia, consentendo di continuare a sfruttare l’esperienza accumulata nel settore della stampa nel corso degli anni, piuttosto che dover cambiare gli altri sistemi ad inchiostro (sistemi di misurazione dell’inchiostro) o le altre configurazioni tipografiche per le nuove forme di stampa.

Incisione diretta mediante laser - Il processo di incisione diretta mediante laser si svolge in una singola fase. I dati digitali relativi all’immagine vengono trasferiti sulla lastra per mezzo di un fascio laser, così che il materiale in esubero della lastra evapora in zone selezionate, creando direttamente il rilievo necessario per il processo di stampa. Questo approccio non richiede ulteriori fasi di lavorazione. I materiali che si prestano a forme di stampa mediante incisioni sono principalmente diversi tipi di gomma, a cui si sono aggiunti, di recente, anche polimeri e fotopolimeri.
L’incisione diretta mediante laser è un processo a secco, che può rivelarsi economicamente vantaggioso grazie all’eliminazione dei costi legati al processo di eliminazione dei fotopolimeri. Questo non è comunque l’unico processo a secco; la DuPont Cyrel FAST offre infatti lavorazioni a secco per la realizzazione di fotopolimeri. L’entità dei risparmi, tuttavia, dipende in larga misura dal tipo di macchinario utilizzato per le incisioni, che determina anche i livelli raggiungibili in termini di produttività e qualità.
In questo contesto, secondo i produttori, la tecnologia dei materiali per il laser e le forme di stampa da utilizzare per le incisioni dirette mediante laser necessitano di un’ulteriore fase di ottimizzazione. Oggi è possibile ottenere retinature che raggiungono fino a 48 righe/cm, e, in alcuni casi, anche più elevate. La qualità di stampa conseguita varia da buona a eccellente.
Vi sono alcuni limiti in termini di dimensioni e omogeneità della gamma di toni riproducibili. Data la risoluzione limitata nel processo di creazione di immagini, i punti più piccoli in mezzatinta, positivi e negativi, possono essere generati soltanto in misura limitata nei valori di lineatura più elevati, e le tonalità dei fondini sfumati possono presentare sbalzi di toni. Questo ci riporta ai macchinari di incisione utilizzati.
Nel processo di incisione diretta mediante laser, la maggior parte dei sistemi utilizzati funziona con i cosiddetti laser a CO2. Questi ultimi garantiscono un rendimento molto elevato, da parecchie centinaia a parecchie migliaia di watt, indispensabile per ottenere un livello accettabile di produttività mantenendo al tempo stesso costi moderati. Gli esperti sostengono tuttavia che la tecnologia del laser a CO2 non si presti per ulteriori progressi riguardo a risoluzioni più elevate.
Il laser a CO2 ha una lunghezza d’onda circa dieci volte maggiore rispetto a quella dei laser utilizzati nei sistemi LAMS CTP. Di conseguenza, secondo una legge ottica, il suo fascio può essere costituito in modo tale da essere, nella migliore delle ipotesi, fino a dieci volte la dimensione del punto focale del laser LAMS CTP. Il livello ottimale di formazione dei fasci con i laser a CO2 è già stato conseguito. I tanto citati 1.270 dpi [punti per pollice], che consentono una retinatura di 48 righe/cm, rappresentano il valore massimo raggiungibile.
Pertanto, per soddisfare standard qualitativi più elevati, sarebbe indispensabile utilizzare una tecnologia laser diversa che, per esperienza, sappiamo essere più costosa, in particolare perché gli alti rendimenti necessari per garantire l’evaporazione del materiale continueranno ad avere la priorità. In questo caso, i vantaggi economici sopra citati verranno ridotti, se non neutralizzati, in ragione dei maggiori costi di investimento e dei tempi di incisione inevitabilmente più lunghi che le risoluzioni più alte comportano. Perfino oggi, i livelli relativamente bassi di produttività costituiscono un fattore cruciale. Anche per raggiungere i risultati del più piccolo degli apparecchi LAMS CTP sono necessari due o più sistemi ad incisione diretta.
Uno dei principali inconvenienti determinati dall’incisione diretta mediante laser consiste nella necessità di combinare due obiettivi diametralmente opposti. Da un lato, il materiale della lastra deve poter essere frantumato facilmente e rapidamente dal laser; dall’altro, deve rivelarsi estremamente resistente in vista del processo di stampa. La soluzione è sicuramente difficile da mettere a punto, se non addirittura impossibile. Tutto ciò è confermato dalla scarsa resistenza mostrata delle forme di stampa incise mediante laser attualmente disponibili nei confronti delle interferenze fisiche del processo di stampa (solventi, inchiostri, ecc.). Tuttavia, suddividendo la procedura di creazione di immagini in un sotto-processo finalizzato a definire la posizione degli elementi delle immagini e in un secondo sotto-processo finalizzato a creare l’effettivo rilievo di stampa - come nel processo LAMS CTP - è possibile ottimizzare in modo rilevante tutti i requisiti.

UV digitali diretti - In occasione di Drupa 2000, la gamma dei processi di creazione di immagini impiegati per la realizzazione di lastre flessografiche è stata ampliata grazie all’introduzione di un processo digitale di creazione di immagini dei fotopolimeri mediante UV. In questo processo, la rete di polimeri destinati alla formazione delle immagini si ottiene con l’ausilio di numerosi fasci di raggi luminosi UV che possono essere modulati digitalmente. La fase intermedia di creazione di immagini mediante mascherina viene eliminata. Secondo le dichiarazioni iniziali della Global Graphics, l’unico produttore che attualmente utilizza questo processo per le lastre flessografiche, il processo dovrebbe essere in grado di utilizzare anche materiali di lastre a base di fotopolimeri del tutto convenzionali. Nel frattempo, però, l’azienda si è ritratta da tale asserzione, in quanto i sistemi corrispondenti non sono ancora disponibili. Sebbene il processo basato sugli UV digitali diretti non preveda una singola fase come il processo di incisione mediante laser diretto – questo in quanto le lastre rivestite con fotopolimero devono ancora essere lavorate – si tratta comunque di un’alternativa estremamente promettente. Tuttavia, non vi sono ancora prove certe riguardo alla sua praticabilità.

Conclusioni
Attualmente, il processo LAMS CTP è quello che soddisfa al meglio gli elevati standard in termini di qualità e produttività. Il processo basato sugli UV digitali diretti, ancora in corso di perfezionamento, potrebbe rivelarsi un’alternativa interessante. L’incisione diretta tramite laser consente di ottenere risultati soddisfacenti nell’ambito delle possibilità che offre. Mentre una modifica dei negativi effettuata mediante la FlexoCal o la Optimizer migliora notevolmente lo standard qualitativo della tecnologia delle piastre convenzionali rivestite con fotopolimero, pur non eliminando i problemi fondamentali legati ai processi basati sulle pellicole. Questa tecnologia puramente convenzionale basata sui fotopolimeri occupa l’ultimo posto della classifica. L’introduzione della tecnica di lavorazione a secco delle lastre offre a tutti i processi basati sui fotopolimeri enormi potenzialità di sviluppo. Rimane da verificare l’efficacia con cui tali potenzialità verranno sfruttate.

Martin White
Redattore di FlexoTech, l’unica rivista dedicata al processo della flessografia pubblicata in lingua inglese in Europa. Prima di entrare nel mondo del giornalismo era un apprezzato tipografo. Scrive da oltre vent’anni anni di carta e stampa e cura FlexoTech dal 1995, anno in cui la rivista fu lanciata.
Per ulteriori informazioni riguardo a Converflex@IPEX 2002, visitare il sito www.ipex.org.
Evolution in flexo
The imaging process for flexo plates and sleeves. Comparison and evaluation of the various technologies.

Whilst flexo has grown to be a process equal to gravure and offset/litho in terms of quality for most packaged products it has to be careful not to price itself out of the market, particularly in the area of prepress. The development of continuous photopolymer printing sleeves (CPPS), where the raw sleeve is digitally imaged and complete processing is carried out by special “in the round” equipment, after which the sleeve (printing forme) is press ready is expensive to produce. However, these additional costs can be compensated in press make-ready and running time.
Other technology incorporating the sleeve is digital seamless sleeves. With this system raw plates are melted on to the sleeve, the edges are melted together and the complete sleeve is then ground down to get the final size. The sleeve is then coated with a laser sensitive mask before the complete sleeve is digitally imaged.
Less sophisticated is the production workflow for plate-on-sleeve, whereby raw digital plates are mounted with tape on to a sleeve and the prepared sleeve is digitally imaged. As with the two previous systems, the imaged sleeves are processed in the round. It has to be said that photopolymer plates in their raw state are expensive when compared to the litho plate. This is one single area of flexo prepress that, if reduced in price, would put flexo way above other processes in plate production cost.

Imaging a flexo plate
How is the image written to the flexo plate? Here is a comparison and evaluation of the various imaging processes used in flexo platemaking.

Conventional negative film - CNF has been used for many years in the production of photopolymer flexo printing plates. Under vacuum, the film is brought into close contact with the surface of the photopolymer raw material and through its transparent areas, controls the position and size of the image elements created by imaging with UV light.
The photopolymer printing plates commonly used are made of materials that are extremely soft in their raw state, causing them to adhere well to smooth surfaces. To avoid the resulting risk of side lighting effects caused by trapped air when applying the vacuum, the film has to be especially matted on its emulsion side. In addition, it should have a high maximum density of at least 4.5 Dlog, as the relatively long exposure times in photopolymer platemaking would otherwise cause too much UV light to pass through the blackened areas of the negative, resulting in a poorer differentiation between print and non-print areas.
Over the years, film materials based on chemical development have been continuously optimised in small steps by manufacturers, and today have reached quite a high standard. However, with their decline already becoming visible, they are not likely to experience any further enhancement by revolutionary innovations. The only developments to be expected are in the field of thermal film. This material, designed for fully dry processing, is still limited in terms of detail reproduction and resolution, but according to the manufacturers should reach the standard of chemically developed films within the foreseeable future.
What appears to be the most serious problem in imaging flexo plates using film negatives is compensating for what can amount to a considerable degree of dot gain. The necessary reduction of the tone values in the film negative results in a loss of distinguishable tone values in the highlight areas. As a result, the image definition in particular, in this frequently critical area, is insufficient. To solve this problem, among others, the modification procedures described in the following section were developed.

Modified negative film - MNF is designed to allow for a more elegant and, at the same, time improved dot gain compensation than is possible solely by using curves in the RIP or prepress system. The aim is to write dots to the plate that are just small as in CTP and at the same time, to keep the range of tonal gradations on the plate as wide as possible.
The two processes, FlexoCal from ArtWork Systems and Optimizer from Advanced Flexo Technology, are based on a development patented by DuPont that benefits from the ability of many filmsetters to selectively increase the light intensity used for imaging. This process makes use of the fact that the laser spot generated in the filmsetter will be slightly larger in size.
When imaging a film negative, the transparent areas defining the print elements are thus slightly reduced in size. This affects mainly the screen dots. One advantage is that the reduction of the image element size is performed in a more or less analogue way. This means that it is not necessary to interfere with the digital data (i.e. using curves) and the full range of the tonal gradations contained therein is preserved. Generally, using longer plate imaging times, it is possible to write even the smaller dots on to the plate.
In comparison to purely conventional platemaking using film negatives compensated by means of curves, FlexoCal and Optimizer can help to achieve a distinct improvement of print quality. However, there are also disadvantages. By increasing the light intensity in the filmsetter, it is put into an unstable, non-linear state in which the outcome of the imaging procedure depends to a far greater extent on the quality and consistency of the imaged raw film material than is otherwise the case.
All image elements (and this also includes the halftone dots) are somewhat unsharp in reproduction. This requires additional checking procedures. Moreover, the selection of flexo plates that can be imaged with film negatives produced in this manner is rather limited. Also, the repeatability of these film negatives has yet to be proven. Finally, neither FlexoCal nor Optimizer can eliminate a fundamental problem of conventional platemaking. The dependence of image elements of their immediate neighbours (i.e. whether a small halftone dot can be held on the plate depends essentially on whether it is adjacent to other larger dots and other image elements or whether it stands more or less isolated). This is related to how photopolymerisation works under vacuum and unfortunately can not be avoided.

Mask-based CTP (LAMS CTP) - The CTP processes widely known and used in flexo platemaking today work on the basis of mask layers. The plate’s photopolymer material is coated with an opaque black top layer referred to as the LAMS layer (Laser Ablation Mask System). This layer is partially removed in the platesetters by means of microscopically fine engravings performed by thermal laser beams (in accordance with the image to be printed). In a separate second step, the print relief is polymerised with the aid of UV light.
LAMS CTP systems have been used successfully in flexo platemaking for several years. The disadvantage of a somewhat more complex structure of the raw materials, combined with a higher purchase price, is offset by considerable benefits. For example, all image elements thus created have much steeper shoulders and reverses than conventional printing plates. This process is unsurpassed when it comes to the reproduction of extremely small positive and negative text. Also, the tiniest halftone dots can be generated in the highlight areas, which is especially advantageous in flexo printing. Last but not least, the image elements are independent of their neighbours. This ensures a high platemaking predictability compared to conventional processes.
Even though it may seem somewhat complicated to first image a mask layer, which is then used to drive the actual imaging of the photopolymer, this actually has an advantage. By separating the two imaging steps, both components can be individually adjusted to the specific requirements. Specifically, the mask layer can be optimised with a view to the platesetter characteristics, while the photopolymer can at the same time be set to the required print characteristics. This was actually the crucial factor that paved the way for CTP in flexo printing, making it possible to continue drawing from the experience gathered in printing over the years, rather than having to change to other ink (metering) systems or press configurations for the new print formes.

Direct laser engraving - Direct laser engraving is a one-step process. The digital image data is written to the plate by means of a laser beam, causing the excess plate material to evaporate in selected areas and thereby directly creating the relief necessary for the printing process. This approach does not require any further processing steps. Engraveable print forme materials are primarily various types of rubber, but recently also polymers and photopolymers.
Direct laser engraving is a dry process that can offer an economic benefit due to the elimination of the costs associated with the wash-out process of photopolymers. Meanwhile, direct laser engraving is no longer the only dry process, for DuPont Cyrel FAST offers dry processing to photopolymer platemaking. The actual extent of savings, however, depends largely on the engraving machine used, which also determines the achievable level of productivity and quality.
In this context, according to the manufacturers, the laser and printing forme materials technology to be used for direct laser engraving still requires an optimisation stage. Today, fine screen rulings up to 48 lines/cm can be achieved, in individual cases even slightly higher. The achieved print quality ranges from good to excellent.
There are limitations in terms of the size and homogeneity of the reproducible tonal range. On account of the limited resolution in the imaging process, the tiniest positive and negative halftone dots can only be generated to a limited extent in the higher linescreen ranges, and vignetted screen tints can present tonal leaps. This brings us back to the engraving machines used.
In direct laser engraving, the majority of the systems used work with what is known as CO2 lasers. They ensure the high performance of several hundred to several thousand watts required for an acceptable level of productivity while at the same time keeping the costs at bay. Experts agree, however, that CO2 laser technology does not lend itself to further advances into higher resolutions.
The CO2 laser has a wavelength that is about ten times that of the lasers used for LAMS CTP. According to an optical rule, its beam consequently can only be bundled, at best, down to ten times the focal dot size of the LAMS CTP laser. The bundling optimum for CO2 lasers has already been reached. The frequently mentioned 1,270 dpi, which allow for a linescreen of 48 l/cm, are the achievable maximum.
To meet higher quality standards, therefore, it would be inevitable to use a different laser technology, which experience has shown is likely to be very expensive, in particular as the high performances required to ensure evaporation of the material will continue to be a priority. In this case, the cost benefits mentioned above will be reduced, if not neutralised, by the higher investment costs and the longer engraving times that inevitably come with higher resolutions. Even today, the comparatively low levels of productivity are a critical factor. To achieve even the output of the smallest LAMS CTP equipment frequently requires two or more direct engraving systems.
One of the major drawbacks of direct laser engraving is that it requires combining two diametrically opposed objectives. On the one hand, the plate material has to be eroded easily and quickly by the laser, while on the other hand it has to be extremely robust in the print process. The solution, a ‘butter-titanium alloy’, is most certainly extremely difficult to develop, if at all possible. This is confirmed by the poor resistance of the available laser-engraved printing formes to the physical influences of the printing process (solvents, inks, etc.). However, dividing the imaging procedure into a sub-process defining the position of the image elements and a second sub-process creating the actual print relief, as in the LAMS CTP process, allows for a considerably enhanced optimisation for all requirements.

Direct digital UV - At Drupa 2000, the range of imaging processes in flexo platemaking was extended by another - direct digital UV imaging of photopolymers. In this process, the image-oriented networking of the polymer is achieved with the aid of a multitude of finely bundled UV light rays that can be digitally modulated. The intermediate mask-imaging step is eliminated. According to initial announcements of Global Graphics, the only manufacturer using this process for flexo plates today, the process was supposed to be able to use even wholly conventional photopolymer plate materials. Meanwhile, however, the company has backed away from this claim, as the corresponding systems are not available yet. Even though Direct Digital UV is not a one-step process such as direct laser engraving – as the photopolymer plates still require processing – it is nonetheless an extremely promising alternative. However, the proof of its practicability is still pending.

Conclusion
At this point in time, LAMS CTP is the process that best meets the highest standards for top quality and productivity. Direct Digital UV, to date still in the development stage, may prove to be an interesting alternative. Direct laser engraving offers good results within the framework of its possibilities. While a modification of film negatives using FlexoCal or Optimizer considerably improves the quality of conventional photopolymer plate technology; it does not eliminate the fundamental problems associated with film-based processes. Thus purely conventional photopolymer technology ranks last on the list. The introduction of dry plate processing technology has given all photopolymer-based processes a considerable potential for advancement. How efficiently this potential is developed remains to be seen.

Martin White
Editor of FlexoTech magazine, the only magazine dedicated to the process of flexography that is published in the English language in Europe. Martin was an apprenticed printer before entering the world of journalism. He has now been writing about paper and print for 21 years and has edited FlexoTech since its launch in 1995.
For further information regarding Converflex@IPEX 2002, please visit www.ipex.org.