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July/August 2003
Stefano Lavorini
Dangerous games

What are you talking about?
Nintendo?! [Dununderstand]
Do you mean “I don’t understand”? I, certainly don’t understand, you blockhead, why you keep on showing me that tiny display which, I deduce from your alluring expression, ought to give some sense to your frenetic flailings. Do you want me to believe that life is all in that appearing and disappearing of those silly figures filling a small liquid crystal video screen? And that is nothing other than the perennial, purposeless succession of everchanging situations?
The suspicion dawns on me that you want to convince me that true ability only lies in reacting without thinking, in being able to craftily avoid the traps, in cunningly dodging your opponents shots that rain down on you arbitrarily, and that this is the sole possibility that is given to us to triumph in that test of strength that is human existence.
Your mechanically preordained world, in which action is always followed by a reaction, does not comprehend doubt, leaves no space for reflection, for imagination, for goodness.
What has come of that sense of sticking up for the losers, for those who inevitably won’t be able to pick themselves up off the ground, mandatory tribute to the continuation of the game?
And thus the game becomes struggle as an end in itself without any possibility of redemption, in an alluring delirium that, behind the innocence of a simple pastime, conceals the trap of foolish resignation to a world made up of unalterable rules. That is, when it comes down to it your “Nintendo”, hurled into any puddle, would go back to being what it is: an obstruction made up of capacity and resources, good only for justifying the craziness of banning dreams.
You should know that “the mad are happy” because they do not know; they aboveall do not know that someone has deprived them of the joys of life. A life that could still be fine if you could only learn to suffer it, risking a smile.


Di cosa stai parlando? Nintendo?! Vuoi dire forse “non intendo”? Io, di certo non capisco, testone che non sei altro, perché insisti a farmi vedere quel piccolo display che, deduco dalle tue ammiccanti espressioni, dovrebbe dare senso al tuo frenetico agitarti. Vuoi forse farmi intendere che la vita è tutta nell’apparire e scomparire di quelle sciocche figurine, che riempiono il piccolo video a cristalli liquidi? E che altro non c’è se non il perenne rincorrersi senza scopo di situazioni in continuo mutamento?
Mi viene il sospetto che tu voglia convincermi che la vera abilità stia solo nel reagire senza pensare, nel saper schivare furbescamente le trappole, nell’eludere con prontezza i colpi avversi che la casualità ti spara addosso, e che questa sia l’unica possibilità che ci è data per vincere quella prova di resistenza, che è l’esistenza.
Nel tuo mondo meccanicamente predeterminato, in cui a un’azione corrisponde sempre una reazione, non c’è comprensione per il dubbio, e non c’è spazio per la riflessione, per la fantasia, per i buoni sentimenti. Che ne è del senso di solidarietà verso i perdenti, quelli che, inevitabilmente, sono destinati a rimanere a terra, quale prezzo obbligato al progredire del gioco?
E così, il gioco diventa una lotta fine a se stessa e senza possibilità di riscatto, in un delirio accattivante che, dietro l’innocenza di una semplice distrazione, cela la trappola di una stolta rassegnazione a un mondo fatto di regole immutabili.
In fondo il tuo “Nintendo”, scaraventato in una pozzanghera qualsiasi, tornerebbe a essere quello che è: un ingorgo di capacità e risorse, buono solo a giustificare la pazzia di vietare il sogno.
Sappi che “i matti sono contenti” perché non sanno; non sanno soprattutto che qualcuno li ha privati del gusto della vita. Una vita che potrebbe ancora essere bella, se tu sapessi accettare di soffrirla, rischiando un sorriso.