April 2002





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Quando i produttori devono ridurre i tempi di risposta al mercato, possono vantaggiosamente fare ricorso al contract packaging (ovvero, confezionamento conto terzi). Che offre anche agli utilizzatori un vantaggio non da poco: evitare rischiosi investimenti in macchinari e lavoro quando si sperimentano nuove soluzioni di packaging. Arnie Orloski

Il mercato del packaging deve fare i conti con una segmentazione sempre maggiore, a cui è seguito lo sviluppo sempre più rapido di una soluzione corrispondente: l’impiego del CP (contract packaging). Se, infatti, per i dettaglianti è imperativo servire il mercato “in velocità”, i produttori scoprono dal canto loro che il CP è il modo più rapido per mantenersi competitivi. Certamente non si tratta sempre della soluzione più economica, ma potrà compensare il maggior costo con un aumento delle vendite.
Sono alcune delle conclusioni raggiunte da un’approfondita ricerca dedicata al confezionamento per conto terzi, condotta lo scorso autunno da Packaging World, sia sul proprio sito Packworld.com sia intervistando numerosi rappresentanti dei CP e delle aziende che vi fanno ricorso.
Il dossier che vi presentiamo si propone di esaminare le tendenze emergenti e di presentare i risultati dello studio sugli utilizzatori finali. Inoltre, comprende il testo di Abbey Lewis-Reinholdt sull’opinione dei CP riguardo alle tendenze emergenti nel mercato.
Cercare di capire cosa è il confezionamento in conto terzi è un po’ come voler danzare con un fantasma. Si sa che esiste, ma è quasi impossibile acchiapparlo e, oltretutto, risponde a diversi nomi: co-packing, contract manufacturing , repackaging, co-packaging e fulfilment (per mantenere la più diffusa terminologia angloamericana, Ndr.). Ciascuno di questi nomi indica in realtà una diversa e specifica attività, ma le differenze sono sistematicamente ignorate da molti tra coloro che si occupano di packaging e, in sostanza, i termini vengono impiegati in modo quasi intercambiabile dagli addetti dell’industria.
Nel corso di una conversazione, per esempio, il responsabile del settore packaging di una grande impresa di trasformazione alimentare ha affermato che la sua azienda si serve di almeno cento diversi “co-packers” in tutto il paese. Quando gli è stato chiesto cosa intendeva con questo termine, il dirigente ha ammesso che non definisce con precisione molti dei fornitori citati, ma che l’azienda lo impiega per designare tutte le ditte che effettuano operazioni di packaging per suo conto.
Indipendentemente dai termini usati, il concetto espresso è dunque quello di un approvvigionamento esterno (in outsourcing) della funzione di confezionamento. L’outsourcing - altra parola ricca di significati - comprende anche l’idea di CP, cioè di un settore di attività che secondo l’Outsourcing Institute di Jericho (NY), cresce a un tasso annuale del 15%. E che se un tempo era prerogativa delle aziende più grandi, è ora in fase di netta crescita soprattutto grazie alla domanda di piccole imprese, con un giro d’affari fra i 10 e i 15 milioni di dollari.

Le ragioni dell’outsourcing
Lo studio condotto sugli utilizzatori finali ha evidenziato alcuni grandi motivi che spingono le aziende a ricorrere all’outsourcing delle operazioni di confezionamento, fra cui ricorre il fatto che “la tecnologia necessaria non è disponibile presso l’azienda”. I CP coinvolti nello studio, invece, non hanno sottolineato questo elemento in particolare; viceversa, quasi un terzo degli intervistati ha dichiarato che il principale vantaggio per gli utilizzatori finali consiste nella “velocità di raggiungimento del mercato”.
Alcune aziende riconoscono che il ricorso ai CP può costituire un’alternativa, temporanea o permanente, ai processi di approvazione necessari a installare e rendere operativi i macchinari e le linee di produzione del packaging.
Come seconda principale ragione (per un 27%) per la quale ci si rivolge a loro, i CP indicano poi la mancanza, presso l’utilizzatore finale, di personale competente. Le aziende che fanno confezionare all’esterno i loro prodotti pagano solo il lavoro che impiegano, e solo per il tempo necessario, eliminando in questo modo il costo dell’assunzione di addetti a tempo indeterminato. Tempo fa questo elemento aveva stimolato un dibattito sull’opportunità o meno di una sindacalizzazione del lavoro subordinato, ma poi le cose sono cambiate. Oggi alcuni CP sono organizzati anche da un punto di vista sindacale, ma spesso il costo del lavoro è comunque più basso che presso molti dei produttori che servono.
Inoltre, per l’utilizzatore finale la riduzione degli investimenti è un altro argomento forte, mentre solo il 15% dei CP lo considera determinante. Come ha spiegato un esperto di packaging: «l’industria che vuole realizzare un nuovo prodotto deve valutare con molta attenzione l’effettiva opportunità di costruire nuovi impianti, acquistare tutti i macchinari necessari e assumere gli operai addetti al loro funzionamento».
Infine, logistica e distribuzione possono essere anch’esse basilari per la scelta di un CP e la vicinanza geografica è considerata dal 10% dei PC come il vantaggio principale per l’utilizzatore.

Ottimismo e investimenti
I CP sono molto ottimisti sul loro futuro. Il 60% circa dichiara di aver aumentato, lo scorso anno, il proprio giro d’affari, e l’87% si aspetta per l’anno in corso un aumento ulteriore delle vendite. Inoltre, nel 2001 il 65% dei CP ha aumentato il numero dei clienti.
Più del 92% dei CP che hanno partecipato allo studio affermano che nel corso dello scorso anno le loro aziende hanno offerto ai clienti nuove tipologie di packaging o nuove opportunità, e che per questo hanno dovuto, nella maggior parte dei casi, acquistare nuovi macchinari (figura 1). Un numero minore, ma sempre significativo, di CP è riuscito ad ampliare le risorse, acquistando macchinari di seconda mano o riconvertiti. La stessa tendenza dovrebbe proseguire nel corso di quest’anno anche se, forse, aumenterà in proporzione il ricorso a macchine usate. In ogni caso, quasi due terzi dei CP acquisteranno anche quest’anno dei macchinari: precisamente, l’82% degli intervistati ha dichiarato di aver fatto investimenti in impiantistica nel corso del 2001 e l’87% prevede di effettuare acquisti consistenti durante l’anno in corso.
Infine, lo studio chiedeva ai CP una valutazione sulle condizioni dei loro macchinari, dai più semplici a quelli tecnologicamente più all’avanguardia. Un 18% ha dichiarato di disporre solo di attrezzature di base o addirittura minime, mentre più del 37% dispone di macchinari tecnologicamente moderni o avanzati.
Ciò può forse sorprendere, ma bisogna tener presente che tutte queste aziende subiscono gli effetti del calo di manodopera specializzata. Un CP che si sta specializzando in prodotti per la casa ha espresso così il pensiero di tutti: «ci stiamo automatizzando perché è sempre più difficile trovare manodopera sufficientemente produttiva».
A sua volta, un co-packer di alimenti surgelati afferma: «vediamo l’automazione come una risposta alla scarsità di manodopera».
Tutti i risultati raccolti dallo studio danno vita a un’immagine totalmente nuova del mondo dell’outsourcing nel campo del confezionamento. Il vecchio stile del CP a basso livello di automazione e alto numero di addetti, ha lasciato il posto a un’operatività nuova e più moderna. In realtà, l’attrezzatura di molti di questi CP può essere considerata equivalente, o addirittura superiore, a quella presente nelle linee di packaging gestite dalle industrie loro clienti
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The state of contract packaging
As manufacturers seek to improve market response time, contract packaging becomes an important production strategy. End users forestall investments in equipment and labor while they test new packages.
Arnie Orloski

As packagers cope with an increasingly segmented marketplace, one of the fastest-growing techniques to meet that demand has been the employment of contract packagers. When retailers make “speed-to-market”, a top priority, manufacturers find that outsourcing of packaging can be the quickest way to compete. It’s not always the least expensive, of course, but it can pay for itself through increased sales. These are just some of the conclusions that have been drawn from an indepth research project on contract packaging undertaken by Packaging World last fall. Not only were three separate surveys on contract packaging conducted on PWs Web site, Packworld.com, but additional interviews were conducted with representatives of both contract packagers and the companies that hire them.
This overview will discuss the emerging trends in general.
In addition, PW will present the findings of its end-user survey. This special report also includes a piece by assistant editor Abbey Lewis-Reinholdt on what contract packagers themselves are saying about emerging trends in the marketplace. Understanding contract packaging is a little like dancing with a ghost. You know it’s there, but it’s almost impossible to get your arms around it. And it’s known by many names: co-packing, contract manufacturing, repackaging, co-packaging, and fulfillment. Although each of those terms represents some specific activities, the differences are regularly overlooked by many packaging people. In essence, these terms are used almost interchangeably by people in industry.
For example, a packaging executive for a major national food processor claimed in a conversation that his company used more than 100 individual co-packers around the country.
When the term co-packer was questioned, he admitted that many of those companies didn’t qualify as co-packers, but that his company used that term to denote all companies that did packaging for them.
Regardless of the term a company uses, all involve outsourcing of the packaging function. And outsourcing, another broader term that includes contract packaging, is said to be growing at 15%/yr, according to the outsourcing Institute, Jericho, NY Once the exclusive province of large companies, outsourcing is now experiencing its greatest growth from smaller companies, those with $10 to $15 million in sales, according to Frank Casale of the Outsourcing Institute.

Reasons to outsource
As the end-user survey points out, there are several primary reasons a company looks to outsource the packaging function.
Although end-user participants said that «technology not available in-house» is a major one, the CPs that participated in the survey don’t heavily sell that benefit. Nearly a third of CPs said that “speed-to-market” was the advantage they promote most to end users.
Some companies recognize that CPs can replace, either temporarily or permanently, the approval processes for getting a plant and packaging lines set up and operating.
But the unavailability of labor skills at the end user is also a strong factor and the second-most-promoted benefit by CPs at 27.5%. Companies that outsource packaging typically pay only for the labor they need, when they need it, thereby eliminating the cost of keeping those employees year-round. This advantage was once tied to the union vs nonunion debate, but this is no longer quite so important. Some CPs are organized, but often their labor rates are substantially lower than many manufacturers. In addition, minimizing capital investment is a strong issue for end users, but it’s only considered the primary benefit by 15% of CPs. «A processor making a new product has got to think long and hard about whether to build a new plant, buy all of the equipment, and hire workers to operate it», one packager explained. Finally, logistics and distribution can also be a primary reason to use a CP. Better geographic location was promoted as the primary benefit by 10% of CPs that participated in the survey.

Bullish and investing more
The contract packagers studied are very bullish about their business. About 60% said their business was up last year, and 87.5% say they expect sales to increase this year. In 2001, some 65% of CPs reported a larger roster of clients.
More than 92% of the CPs participating in the survey said that their companies had offered new package styles or capabilities to its customers last year, and the majority did it by buying new equipment (see figure 1). A smaller, but significant number of CPs expanded their capabilities by buying used or rebuilt equipment last year.
Much the same is expected for this year, respondents reported.
However, the CPs reported that more companies will extend their capabilities through used or rebuilt equipment.
Nonetheless, nearly two-thirds of the CPs will be buying new equipment this year. And, although 82% of CPs said their companies bought equipment in 2001, nearly 87% expect their companies to make capital purchases this year.
Finally, the survey asked CPs to rank their equipment, from very basic to state-of-the art.
While nearly 18% of respondents said their plants have basic or very basic equipment, more than 37% of respondents said their plants are modern or state-of-the-art.
If that characterization seems surprising for contract packagers, consider the fact that these companies have also been affected by the tight labor market. A CP secializing in household products represented many others when he said: «We are leaning towards automation because productive workers are hard to find».
A co-packer of frozen foods said: «We look for more automation to fill a labor shortage problem».
All of these survey results point to a dramatic new picture of outsourced packaging. The contract packager of old - low to moderate automation with lots of workers - has given way to new, more modern operations. In fact, many of these CPs may be the equal of - or even superior - to the packaging lines operated by their manufacturing clients.



Chi ha partecipato al survey
Per realizzare lo studio Packaging World ha selezionato i questionari compilati da 120 utilizzatori finali che rappresentano un ampio ventaglio di aziende. Tra coloro che sono stati intervistati attraverso Packworld.com, il 42% proviene da aziende con più di mille dipendenti e il 15% da aziende con meno di cento dipendenti.
I prodotti realizzati dalle aziende sono anch’essi molto diversificati. Poco più di un quarto dei partecipanti all’inchiesta confeziona alimenti, mentre il 15% opera nel settore medicale o farmaceutico e un altro 15% produce beni di consumo non alimentari; infine, il 14% degli intervistati realizza articoli per l’industria.
Le persone contattate rappresentano a loro volta un ampio ventaglio di ruoli professionali. Quasi un quarto ricopre funzioni collegate specificamente al packaging, il 18% sono ingegneri e progettisti, il 13% ha responsabilità di acquisto e poco più del 10% lavora nel marketing.
La localizzazione delle varie aziende è altrettanto ampia: più del 28% risiede nel Midwest, il 20% nell’area nord-orientale e medioatlantica, e oltre il 15% in regioni Occidentali o sud-occidentali. Più dell’8% delle risposte è giunto invece dall’estero, cioè da Canada e Messico.



Who participated in survey
To create this report, Packaging World selected 120 end-user questionnaires across a broad spectrum of companies. Of these Packworld.com respondents, 42.5% came from companies with more than 1,000 employees, and 15% reported company size of under 100 employees. The products made by these companies were also diverse. Slightly more than a quarter of respondents’ companies packaged foods; about 15% said their companies were medical or pharmaceutical manufacturers, another 15% reported their firms produced nonfood consumer products; and 14% of respondents’ companies made industrial products. The respondents themselves came from a variety of job disciplines. Almost one in four had a packaging title, nearly 18% were engineers, 13% had purchasing responsibilities; and marketing executives accounted for slightly more than 10% of all respondents. Company locations were similarly broad. More than 28% came from the Midwest, 20% from the Northeast and Mid-Atlantic, and over 15% from the West and Southwest. Respondents from Canada and Mexico accounted for more than 8% of responses.